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«Vendo più ceri grazie alla crisila gente li porta in chiesa e prega»

«Vendo più ceri grazie alla crisi la gente li porta in chiesa e prega»

Trend in crescita ma solo nella cereria più centrale della città. Critiche da tutti i venditori all’ordinanza del sindaco Bianco che vieta l’accensione il trasporto di ceri accesi. Stabili le vendite del “sacco”

Di Vittorio Romano |

CATANIA – «Sembra un parodosso, ma è grazie alla crisi se quest’anno sto vendendo più candele rispetto al passato. La gente viene e mi dice: “Mi dia un cero, così vado in chiesa, lo accendo e prego perché la mia situazione familiare migliori”». Ma quella del signor Gambino, titolare di una delle cererie più importanti della città, è l’eccezione. Nelle altre, infatti, il trend delle vendite è in calo rispetto all’anno precedente, «colpa della crisi» sostiene il signor Cosentino, «ma forse colpa anche di un’assurda psicosi che sembra essersi diffusa tra alcuni miei clienti, i quali hanno disdetto diversi ordini di ceri destinati a Sant’Agata per paura che, durante i momenti clou dei festeggiamenti, possa verificarsi un attentato dell’Isis» dice il signor Viola, titolare dell’omonima cereria in piazza Federico di Svevia. «Un’altra leggenda metropolitana – continua Viola -. Ovviamente ritengo che il motivo principale per cui sto vendendo meno ceri sia la crisi economica. E io, da ex operaio, sono il primo a dire alla gente che ha difficoltà a sbarcare il lunario di non spendere i propri soldi per acquistare candele se prima non ha portato da mangiare ai propri figli».  

I rivenditori hanno commentato, e criticato, l’ordinanza del sindaco Bianco che vieta anche quest’anno, in occasione dei festeggiamenti per la santa patrona, “l’accensione e il trasporto dei ceri accesi”. «È da diversi anni ormai che il Comune ripropone la stessa ordinanza – dice il signor Cosentino – ed è dallo stesso numero di anni che non viene rispettata. E sa perché? Perché è un’ordinanza stupida. Se tu, Comune, poni un divieto, devi offrire ai devoti un’alternativa. E non mi vengano a dire che gli spazi offerti per l’accensione dei ceri sono idonei e sufficienti, perché non lo sono affatto. Credo, tuttavia, che la flessione delle vendite non sia dovuta all’ordinanza sindacale, ma semplicemente alla crisi. Prima con 50.000 lire un padre di famiglia portava a casa diversi ceri che bastavano per tutti. Oggi con 25 euro, che è l’equivalente, purtroppo prendi davvero poca roba».  

«Io vendo ceri e dunque il mio parere sarà giudicato di parte – dice il signor Viola -. Cerco dunque di essere obiettivo. Perché il Comune non ha ritenuto giusto e corretto trovare un punto d’incontro tra le legittime esigenze di sicurezza e le altrettanto legittime aspettative ed esigenze dei fedeli che vogliono accendere un cero alla Santa? Perché non ha mai sentito l’esigenza di convocarci attorno a un tavolo per trovare insieme soluzioni condivise? Vietare è la cosa più facile che un’amministrazione possa fare. Ma così si va contro le ragioni dell’altro, senza nemmeno provare a sentire quali sono le sue esigenze. Accendere un cero, piccolo o grande che sia, a Catania è da sempre una tradizione, una dimostrazione di fede, una volontà di voto».  

«Guardi, la mia famiglia ha quest’attività da quattro generazioni, sin dal 1795, dunque l’ordinanza del sindaco non mi potrebbe mai trovare d’accordo – dice il signor Gambino -. Bisogna trovare soluzioni nel rispetto di chi porta avanti una tradizione pluridecennale. Per esempio, perché non mettere 10 centimetri di segatura lungo tutto il percorso, via Etnea e via Caronda soprattutto, chiudendole al traffico già tre giorni prima del giro interno? Finita la festa, la cera verrebbe rimossa con facilità. Questo venne fatto diversi anni fa, credo con Scapagnini sindaco, e funzionò. I luoghi che il Comune indica per l’accensione dei ceri sono insufficienti. Potrebbero bastare solo per chi ha ceri piccoli. Ma quei fedeli che fanno voto, non rinuncerebbero mai e poi mai a portare sulle spalle il loro cero da piazza Duomo fino al Borgo, e solo qui lo “consegneranno” alla santa. Non ci sono ordinanze che possano impedirlo. Tanto vale, dunque, studiare soluzioni alternative, perché alla sicurezza ci teniamo tutti, non solo il Comune».  

Non solo ceri nella tradizione dei festeggiamenti agatini. Anche le mercerie di solito concludono buoni affari, soprattutto quelle del centro storico che vendono il sacco bianco, ovvero la veste devozionale indossata da migliaia di devoti nei giorni clou della festa, e il cappellino nero, che i catanesi chiamano “scuzzetta”. «Le vendite procedono lentamente, più lentamente del solito – dice il titolare della merceria “Lara” di via Manzoni -. Rispetto all’anno scorso registriamo una flessione di circa il 40%. Credo che qualcosa stia cambiando nell’approccio con la festa. La gente forse preferisce assistere alle fasi salienti della processione, allo spettacolo dei fuochi pirotecnici, e pensa meno all’aspetto religioso. Avverto un calo di fede. Spero sia solo una mia sensazione».  

Per il signor Zuccarello, dell’omonima merceria di via Manzoni, «il trend di vendite è stabile. Non vedo differenze con gli anni precedenti – dice – e per fortuna questo è un buon segno, considerato il momento di crisi che attraversiamo. In questa edizione 2015 spicca un dato su tutti: stanno andando a ruba i sacchi per i neonati. Vedremo tantissimi pargoletti durante la processione vestire l’abito devozionale. Un omaggio dei genitori alla santa patrona, alla quale si affida il futuro dei propri figli».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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