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Annalisa Monfreda: «Ai giovani giornalisti dico di puntare sulla qualità e lavorare in gruppo»

L’ex direttrice di “Donna Moderna” svela la sua ricetta per il successo nell’era del giornalismo digitale. Da una metodologia end-to-end che responsabilizza le redazioni e migliora il prodotto, ad un auspicato patto generazionale tra nuove leve e professionisti più navigati.

Di Redazione |

Nonostante il momento attraversato dal giornalismo non sia tra i più felici, continuano a proliferare, specie sul web e in particolare sui social, nuove piattaforme e avventure editoriali. Il desiderio di fare buona informazione, o almeno tentare di farla, è evidentemente ancora piuttosto sentito. Tuttavia, come conseguenza di ciò, sempre più alta risulta essere la competizione tra le nuove aspiranti firme. Molti dei giovani che si affacciano a questo mondo risentono tuttavia delle difficoltà di una generazione che non si sente mai all’altezza. Una sindrome dell’impostore che a volte ostacola l’inventiva e l’originalità di proposte che potrebbero invece svecchiare un sistema dell’informazione in crisi d’identità e credibilità. Ma come uscire da questa impasse? Lo abbiamo chiesto a una veterana come Annalisa Monfreda, giornalista affermata e con una carriera che vanta direzioni prestigiose, non ultima quella del settimanale “Donna Moderna” conclusasi lo scorso dicembre. L’abbiamo incontrata a Catania a margine dell’incontro “Da giornalisti a imprenditori”, svoltosi presso gli spazi di “Isola” presso palazzo Biscari, che l’ha vista dialogare con il direttore di Sicilian Post Giorgio Romeo. 

Data la moltitudine di penne sulla carta stampata e sul web, per un giovane giornalista farsi conoscere è un’ardua impresa. Che consigli darebbe a chi cerca di farsi strada in questo mondo? «Semplicemente quello di entrarci e avere come principale obiettivo quello di fare un lavoro di qualità.  Ciò comporta dedicare a ciascun contenuto il tempo necessario e impostare il lavoro secondo una metodologia end-to-end, prendendosi cura personalmente di ogni suo aspetto e, di conseguenza, assumendosene anche la responsabilità. Accanto a questo, è necessario per i giovani ampliare il proprio bagaglio professionale, al fine di avere una conoscenza ampia e utile al giorno d’oggi per gestire al meglio tutti i mezzi di comunicazione che abbiamo a disposizione».

Con l’avvento del digitale, le notizie vengono spesso rimbalzate sui diversi giornali online e raccontate, quindi, da uno sguardo indiretto. Come dovrebbe lavorare un aspirante giornalista nella realtà del giornalismo digitale? «Innanzitutto, obiettivo primario di ogni giornalista dovrebbe sempre essere la ricerca di una notizia esclusiva. Bisogna andare in giro per il territorio e trovare una notizia di prima mano. Come ho detto prima, puntare sulla qualità della notizia, cercando di raccontare la verità dei fatti, che può essere narrata solo da uno sguardo diretto. Non puoi raccontare un fatto che non hai vissuto, almeno in parte. Andare in giro, dedicando il giusto tempo ad ascoltare il territorio che ha sempre una notizia da offrire. Da giovane, puntavo a fare tanto e per questo fui presto conosciuta e rispettata nel mondo del giornalismo. Poi, mi venne offerta la direzione del teen magazine “Top Girl”, nel quale ho visto anche la possibilità di fermarmi e prendermi un po' di tempo da poter dedicare a mia figlia. La svolta della mia carriera è avvenuta proprio in quel momento, quando ho iniziato a concentrarmi meno sulla quantità e più sulla qualità di ciò che facevo».

Nonostante la loro voglia di rendersi protagonisti, i giovani giornalisti risentono spesso di un gap di esperienza rispetto ai colleghi più anziani. Quale strada perseguire per colmarlo?  «Fin dagli inizi della mia carriera, ho cercato sempre di apprendere dal mio “compagno di banco”, per poter sfruttare, poi, quelle conoscenze ottenute. C’è sempre qualcosa che possiamo apprendere dalle persone che ci stanno vicino e bisogna avere l’umiltà di riconoscerlo. Condividere le proprie abilità nel gruppo di lavoro può essere la chiave per migliorarsi a vicenda ed avere successo, insieme. Bisogna creare un’alleanza generazionale: l’esperienza dei più grandi, di cui mi sento parte, deve essere influenzata dalla capacità di innovare dei più giovani e dalla freschezza delle loro idee. Startup in grado di unire questi due aspetti hanno tutte le carte in regola per diventare grandi realtà».

Un problema che affligge spesso i giovani è la paura di fallire che si traduce in una rinuncia a intraprendere i propri progetti e a mettersi in gioco. Come è possibile superare questa paralisi e ritrovare la voglia di tentare? «Fatelo in gruppo. Osservando le mie figlie ho capito che voi giovani riuscite a fare le cose quando vi date la carica gli uni con gli altri. L’imbarazzo di fare una cosa e la paura di fallire, quando si è in gruppo, vengono meno. D’altra parte, il giornalismo nasce dalle discussioni, è un respiro comune, un lavoro di squadra. Gli stimoli si possono trovare anche ascoltando le numerose storie di persone che ce l’hanno fatta, da cui poter prendere esempio. Il fallimento non deve essere visto come un tabù: tutte le storie imprenditoriali passano dai fallimenti».

I ragazzi stanno vivendo con particolare apprensione questo periodo turbolento, che rischia di accresce il loro timore di non riuscire a “farcela” nel proprio Paese e di spingerli a cercare la propria strada all’estero. Crede che il fenomeno dei cervelli in fuga continuerà anche in futuro? «La paura che a me viene adesso è proprio l’opposta, cioè la chiusura, invece, nelle proprie nazioni, più o meno felici. Io vivo la fuga dei cervelli come la più straordinaria occasione per un giovane. Uno dei miei rimpianti è proprio quello di non essermi data del tempo per fuggire e, poi, tornare. La pandemia e la guerra hanno purtroppo limitato questa opportunità. Se un ragazzo va fuori e trova il successo, è una conseguenza naturale della società che abbiamo costruito. Penso che chi fa un’esperienza all’estero si trovino arricchite e meno incastrate negli schemi mentali che il loro paese gli ha imposto, anche riguardo al tema, prima trattato, del fallimento, che in altri paesi non viene vissuto allo stesso modo».

ALESSIO CHISARICOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA