Pasticceria
Il dolce segreto di Concetta, unica depositaria dei ricci del convento nel paese del “Gattopardo”
A 8 anni e mezzo nel monastero di Palma di Montechiaro ha raccolto dalle suore l’eredità dei dolci conventuali
Concetta da grande voleva fare l’artista, le piaceva disegnare e sognava un futuro da pittrice. Oggi la sua arte è la pasticceria, un destino “scelto” per lei da altri, ma poi costruito con grande passione in quel di Palma di Montechiaro – la “città del Gattopardo” – in cui ha deciso di rimanere guardando andar via, per cercare futuro altrove, la maggior parte dei suoi fratelli.Sesta di dodici figli (4 femmine e 8 maschi) il momento cruciale nella vita di Concetta Marino arriva prestissimo – a 8 anni e mezzo – quando finisce, da un giorno all’altro nel convento delle Benedettine con due delle sue sorelle più piccole.
«In realtà mio padre voleva mandarci quattro dei miei fratelli maschi che non avevano molta voglia di studiare – racconta nella sua pasticceria di via Pietro Nenni – ma allora il Comune pagava le rette solo per tre bambine e toccò a me e alle mie sorelle, Enza e Patrizia, di 7 e 5 anni e mezzo. Mio padre era bidello, mia mamma casalinga, non c’erano tanti soldi in casa».Che ricordo ha di quell’arrivo in convento?«Bruttissimo. Mi sono sentita “strappata”, fino a quel momento ero una bambina che giocava nel giardino di casa. Mi sono ritrovata “chiusa”, ho pianto per sei mesi, le suore però non ci facevano caso “Ti passerà”».Com’era la vostra giornata?«Non potevamo fare niente, né uscire, nè circolare per il convento, nemmeno affacciarci alla finestra. Non c’erano televisione o macchine fotografiche. Se anche ci davano la possibilità di guardare la tv eravamo sempre sorvegliate da una ragazza più grande messa lì a controllare se sullo schermo ci fosse qualche bacio, ma noi al massimo guardavamo Candy Candy».Questo negli Anni Settanta…«Un’altra era… Però a un certo punto ci siamo abituate. Di mattina andavamo a scuola, nel pomeriggio facevamo i compiti e c’era da rispettare il turno di silenzio perché le suore riposavano. Poi preghiera, cena, e alle 19:30 a letto. Le suore Maria Giannina e Maria Candida, le chiamavamo “mamma maestra” ma solo in quel contesto. Per me sono state loro le mie vere mamme».Fino a che età è rimasta lì?«Fino alla terza media, qualche anno in più, a casa che ci tornavo a fare? Alla scuola superiore non mi volevano mandare, alla fine per me e le mie sorelle la vera “casa” era il convento».

Com’è entrata la pasticceria nella sua vita?«Si può dire per necessità. A un certo punto il Comune comunicò che non avrebbe continuato a pagare le rette per tutt’e tre, ma solo per due di noi. Io rischiavo di dover tornare a casa, così suor Maria Giannina ebbe l’iniziativa di portarmi nel laboratorio di pasticceria all’interno del convento. Sapeva che ero brava a disegnare e cominciai ad andare lì due ore al giorno. Le altre compagne mi chiedevano “Ma dove te ne vai?”», io però non potevo dire loro che il Comune non pagava più la retta per me, mi vergognavo».Cosa la colpì entrando lì?«Il profumo fantastico di mandorla, le suore sedute attorno a dei lunghi tavoli, i loro sorrisi accoglienti, in particolare suor Maria Clementina e suor Maria Giuseppina».La prima cosa che le hanno fatto fare?«Togliere la “pelle” alle mandorle, si tuffavano nell’acqua calda, dovevamo sbucciarle, raccoglierle tutte in un sacchetto e metterle ad asciugare in giardino. Quante me ne sono mangiate…».E quando ha realizzato che poteva diventare il suo lavoro?«Uscita dal convento, a 16-17 anni. Mia mamma non mi faceva studiare, pensava al matrimonio, io mi opposi assolutamente con l’aiuto di mio padre. Non sapevo nulla di quello che c’era nel mondo, non capivo malvagità, bugie, non volevo conoscere nessuno, volevo studiare. Mi sono iscritta di nascosto dai miei in una scuola privata che pagavo facendo le pulizie e la baby sitter in paese, ho lavorato in una farmacia. Tutto questo fino al quarto anno. Poi il giorno della maturità ebbi un incidente in auto e non arrivai mai a fare l’esame; fu allora che i miei lo scoprirono. A quel punto mio padre mi disse “Fai quello che vuoi”. Nel frattempo avevo conosciuto mio marito Lillo che aveva un’officina da gommista (il locale trasformato oggi nella pasticceria ndr). Gli dissi che avrei voluto frequentare dei corsi di pasticceria professionale e lui mi incoraggiò tantissimo per andare a studiare a Palermo».

Chi è rimasto nel convento?«Oggi c’è una sola suora ma non è di Palma, il laboratorio ancora esiste ma non sono palmesi a fare i dolci conventuali».Quindi lei è rimasta l’unica palmese doc erede di questa tradizione…«Sì, la lavorazione dei ricci è stata iscritta nel Registro delle eredità immateriali della Sicilia. Li fanno in molti, ma la ricetta originale ce l’ho solo io».E come si sente ad essere l’ultima depositaria di questo segreto?«In colpa. Prima di aprire qui ci ho pensato bene. So tutto, conosco le ricette e le tecniche delle suore. Mi sarebbe piaciuto prendere in mano il laboratorio del convento, ma una volta morte le mie “maestre” la nuova suora mi ha detto assolutamente di no. Se ci fosse stata suor Maria Rosaria, quella che mi portava la mela di nascosto il pomeriggio, quella che mi faceva mangiare un po’ di più, forse mi avrebbe aiutato. Chissà, avrei dovuto pensarci prima, mi è rimasto questo rammarico».Però lei s’impegna in un’opera di divulgazione…«Sì, giro molto per eventi grazie all’Associazione provinciale cuochi e pasticceri di Agrigento “Salvatore Schifano” e poi con il maestro pasticciere Lillo De Fraia, che ha sempre creduto in me, facciamo conoscere la tradizione dei dolci conventuali di Palma di Montechiaro».

A chi tramanderà le sue ricette segrete?«Non lo so. Ho tre figli, Federica di 16, Giosuè di 13 e Salvatore di 7 anni. Federica vedendo quanto il lavoro m’impegni non ne vuole sapere, pensa di studiare architettura».Questa pasticceria cosa rappresenta per lei?«La mia vita, l’abbiamo aperta da due anni, con grandi sacrifici».Perché non porta il suo nome?«Si chiama Barone, come il mio socio, Salvatore, morto a pochi mesi dall’apertura. Il nome ufficiale è “Pasticceria Barone di Marino Concetta”, lui se lo merita».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA