Mazzarino, rissa e danneggiamenti nel cuore di via Sorce: blitz dei carabinieri
Uno degli indagati aveva contattato un esponente della Stidda ai domiciliari: «Quando vi drogate non capite niente»
Carabinieri a Mazzarino
Una lite per banali motivi, il danneggiamento di una Audi Q3, di un mezzo di lavoro e del portone di casa nel cuore della notte e la vendetta suon di bastonate in pieno giorno. C’è questo contorno dietro alla rissa che è scoppiata lo scorso 9 giugno in via Sorce a Mazzarino e che in un primo momento aveva portato agli arresti domiciliari tre persone per tentato omicidio. Ora a tre mesi da quell’episodio di violenza c’è una nuova ordinanza di custodia cautelare: questa volta nel vortice giudiziario ci sono non solo i primi tre che inizialmente erano accusati di tentato omicidio, ma anche i loro rivali. Agli arresti domiciliari sono finiti nuovamente Filippo Cinardo, di 44 anni, il figlio Calogero di 21 anni e del nipote Vincenzo Alagona di 24 anni. Provvedimento anche per la “controparte” cioè Antonio Cadetto di 34 anni e Jasser Sellami (22 anni, tunisino che deve presentarsi alla pg). Indagato a piede libero un altro giovane.
Secondo le indagini dei carabinieri la rissa è scoppiata per futili motivi e i fatti di violenza si sono svolti in più round. Alla fine, però, sono sbucati fuori due bastoni e un martello (sequestrati subito dopo il fatto di sangue) ed è successo il finimondo con le cinque persone finite tutte in ospedale. Per il “gruppo Cinardo” il tribunale del Riesame a giugno aveva affermato che «era verosimile che tutti si sono recati sui luoghi per una vera e propria resa dei conti, da definire con modalità violente, e che, quindi, possa intravedersi una ipotesi di rissa aggravata». Da qui il provvedimento per i componenti dei due gruppi contrapposti. La ricostruzione di quel fatto giunge anche dalle intercettazioni telefoniche. Cadetto parlando con un conoscente ha detto: «Le cose si sono ribaltate un po’. Quello è messo peggio di come ero messo io, ha proprio il cranio rotto. Io pur di vederlo morto mi farei 10 anni di galera». Lo stesso indagato avrebbe contattato un esponente della Stidda locale, facente capo alla famiglia Sanfilippo, che era ai domiciliari. E la risposta, dell’esponente criminale è stata: «Hai iniziato ad urlargli contro, gli hai detto ‘ora vado da quello e ti faccio tagliare la testa?. Io so che quando vi drogate non capite niente. Non mi mettere in mezzo a questo litigi».
Il gip del tribunale di Gela, Roberto Riggio, alla luce della comunicazione notizia di reato dei carabinieri ha evidenziato che «i soggetti hanno dimostrato una spiccata propensione alla violenza» e la rissa è avvenuta «in un contesto di conflittualità pregressa e non risolta». I protagonisti della rissa hanno dimostrato di non avere autocontrollo e il desiderio di vendetta. Da qui il provvedimento restrittivo. I cinque indagati, difesi dagli avvocati Giovanni Maggio, Michele Ambra e Federica Vincenti, compariranno davanti al gip per l’interrogatorio di garanzia