SAN CATALDO – La genesi al vertice della cosca mafiosa di San Cataldo, dopo l’operazione “Kalyroon” di tre anni addietro della Squadra Mobile (con gli arresti di Calogero Maurizio Di Vita e dei fratelli Antonio a Salvatore Cordaro), sono stati ricostruiti dai carabinieri con una serie di intercettazioni. I carabinieri hanno accertato che la reggenza operativa della “famiglia” veniva assunta da un triumvirato composto da Gioacchino Chitè e dai fratelli Massimo e Raimondo Scalzo – tornati in libertà dopo anni di detenzione – che avrebbero continuato ad operare in continuità con i capi finiti in carcere, anche se con un atteggiamento più prudente.
Le cose alla cooperativa “Geo Agriturismo” erano precipitate, con tutti i soggetti affiliati o avvicinati a Cosa Nostra assunti negli anni, molti dei quali non andavano a lavorare o stavano di giorno dei bar senza fare nulla. La conferma arriva, per gli investigatori, da una lunga intercettazione tra Gioacchino Chitè e Raimondo Scalzo. «La cosa è grave – dice Raimondo Scalzo – se va via Giovanni siamo tutti in mezzo alla strada». E Chitè: «Adesso tu devi fare una cosa, tutti quelli che vengono a firmare la mattina, glielo dici per l’ultima volta, nei bar tutti questi minchia che hanno le tute arancioni non ci devono entrare più, per nessun motivo, quelli che sono sui camion, quando finiscono alle otto, alle dieci, alle undici, quando finiscono piedi piedi non ci devono stare, se ne devono andare per i fatti suoi, questo cumolo nei bar deve finire. Questo adesso tu glielo dici a tutti… già tutto sistemato c’è non ti preoccupare». «Lo capisci che vuol dire, io due giorni andare e venire da là tre ore, ma dove minchia siamo arrivati Iachì – continua Scalzo – gente fermata qua a Caltanissetta, meno male lo sai la cosa buona qual è? Che si levano dalla testa che in paese droga non ce ne vero… Quello “munnizzaro” di Alessandro (Scalzo per gli inquirenti) davanti ai cannoni (viale Regina Margherita a Caltanissetta, dicono i carabinieri). Lunedì viene firma, e poi viene fermato con sei bustine… Iachì, che poi tutto il bordello lo sai perché è nato? Per il fatto che ci vado o non ci vado a te non ti interessa, che vuol dire ci vado o non ci vado? Ma io la giornata gliel’ho tagliata, dopo che lui è andato a lavorare Giovanni mi ha detto lasciagliela. Iachì se non prendiamo noi le posizioni un bordello è Iachì, quelli che possono spendere una parola».
Chitè a quel punto dice che quella mattina non può fare niente perché è al cimitero «adesso acchiana Massimo lì sopra e lui incomincia a fare qualche giro, tu incomincia a spendere qualche parola». E Raimondo Scalzo: «… Io li prendo a vastunati… non deve dare le dimissioni lui (il riferimento è a Baglio)… ma vedi che bordello oh… sti quattru lurdi… che poi là in quella caserma sanno tutto dalla a alla z. C’è un paese che dice che ci fottiamo i soldi al Comune». «La gente non lavora e hanno la minchia gonfia – aggiunge Chitè – quando ti vedono quattro-cinque persone ferme la gente si rompe i coglioni, per quello dicono è pagato senza fare una minchia ed io non posso andare a comprare neanche il pane è giusto! Si deve incominciare a fare i duri adesso». «Iachì… abbiamo tutte le carte in regola per poterci aggiudicare di nuovo questa gara d’appalto e qua andiamo facendo i coglioni piedi piedi…».