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A Librino nell’ex Palazzo di cemento simbolo di un riscatto “al massimo ribasso”

Il sopralluogo di Claudio Fava, presidente della Commissione regionale antimafia, ha accertato le pessime condizioni in cui si trova l'edificio noto alle cronache per essere stato, per anni, il nascondiglio e il centro di spaccio della malavita locale

Di Maria Elena Quaiotti |

«Librino è Catania. Torre Leone, cioè l'ex Palazzo di cemento, e ciò che resta del Teatro Moncada, sono il racconto malato di Catania. Non resta che la Procura della Repubblica, perché chi ha responsabilità paghi il peso dei propri errori». Pesano come macigni le parole di Claudio Fava, presidente della Commissione regionale antimafia, pronunciate ieri mattina dopo il sopralluogo in viale Moncada, sollecitato dal consigliere comunale Graziano Bonaccorsi e dalla deputata regionale Gianina Ciancio (M5S). Per l'ex Palazzo di cemento, come continua ad essere chiamato non soltanto dai residenti di questa zona, non sono bastati la “politica” – vani gli appelli in consiglio comunale o regionale – come la richiesta caduta nel nulla di un intervento dell'Asp, gli annunci di intervento, gli innumerevoli sopralluoghi e le denunce pubbliche di cittadini e associazioni; neppure i lavori (pubblici) nello stabile di proprietà del Comune, pur eseguiti, ma “al massimo ribasso”, che quindi già da subito hanno mostrato tutti i limiti dell'esecuzione tra infiltrazioni, fognature che scoppiano, ascensori che non funzionano, infrastrutture lasciate incomplete, materiali di risulta murati nei garage. 

Inaugurato e consegnato a 96 famiglie soltanto un anno e mezzo fa, il palazzo è già in condizioni fatiscenti. Non è bastato neppure aver speso miliardi di vecchie lire per l'agognato “centro di aggregazione” (termine abusatissimo da queste parti) denominato teatro Moncada, ristrutturato e vandalizzato a cicli alterni dall'anno della sua prima inaugurazione ufficiale, nel 2000. Lì dentro, dove è stato rubato tutto il possibile, e nei sottoscala del Palazzo di cemento ancora si spaccia, si nasconde refurtiva, e l'ultimo incendio doloso è di pochi giorni fa. Fra l’altro proprio dove i bambini, nonostante tutto, ancora giocano. E non senza correre pericoli facilmente intuibili. Superata l'indignazione per quanto visto, Fava è sembrato determinato: «Prima dell'esposto in Procura serve un ulteriore sopralluogo con un tecnico, che evidenzi e certifichi le singole criticità; a seguire un incontro pubblico, sotto lo sguardo di tutti, invitando amministrazione, associazioni e sindacati, per una discussione alla quale nessuno possa sottrarsi, fare finta di non avere capito, o non avere risposte da dare. Perché se un amministratore non ti sa dare una risposta su questo, il giorno dopo deve dimettersi».  Bisognerà capire, al di là delle legittime rimostranze di chi in viale Moncada abita e delle rivendicazioni di anni di denunce da parte delle associazioni, quanti poi tradurranno in atti le sue proposte. O non si spiega perché in tanti anni qui mai niente sia realmente cambiato. 

Fava ricorda le sue presenze a Librino «senza aspettare la campagna elettorale, cioè quando hanno bruciato il pulmino dei Briganti, per chiedere interventi strutturali sugli spazi aggregativi, due volte per l'inchiesta sulla condizione minorile e la presentazione della relazione finale». Ed è consapevole che nella stessa Librino esistono tante altre situazioni simili, meno “note” del Palazzo di cemento, senza dimenticare quelle per nulla diverse di San Cristoforo, San Giorgio, Picanello, Monte Po, Villaggio Sant'Agata. «Il problema – è il suo ragionamento – è proprio aver considerato una piaga, una sorta di condizione sociale ineliminabile, il fatto che le periferie siano luoghi estranei rispetto alle città. E quindi si procede per piccoli aggiustamenti, qualche rimedio che sia solo legato alle situazioni di assoluta emergenza. Non è un concetto scritto nel destino delle nostre città, ma l’aver accettato che questi luoghi fossero “di risulta”, separati dalla città. Vuol dire che si deve evitare di continuare a immaginare di costruire nuovi isolati di case popolari e capire, invece, che in quei quartieri manca tutto ciò che va “oltre” la casa.

Andrebbe rimesso in discussione il concetto stesso di periferia, perché fin quando noi accettiamo che in territori delle nostre città, non necessariamente periferici, ma anche al centro, continuino ad esserci come unica presenza delle istituzioni e prospettiva di incontro e relazione sociale la scuola e la caserma dei Carabinieri, continueremo ad avere i fenomeni di devianza, ma anche di vulnerabilità sociale estremamente alta che abbiamo registrato nell'inchiesta sulla condizione minorile condotta in tutta l'isola».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA