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Catania, da Bianco a Pogliese le sliding doors della città in attesa di giudizio

Di Mario Barresi |

Catania – Le verità su un passato – più o meno remoto – trapassato da buchi neri. Nei bilanci; e non solo. E poi il responso – quasi un vaticinio della divinità laica – su ciò che sarà. Nel futuro prossimo; e anche oltre.

Catania. Ieri, oggi e domani. Una città sospesa. In attesa di giudizio. E le sliding doors non sono nei palazzi della politica, ma nelle aule dei tribunali.

L’intrecciata trama della tragicommedia greca sul buco di bilancio ha visto negli ultimi giorni la doppia comparsa di un deus ex machina con la toga. La Procura chiede di processare l’ex sindaco Enzo Bianco e altre 29 persone. Nella richiesta di rinvio a giudizio per falso ideologico in atto pubblico. Una lenzuolata di nomi (assessori, ragionieri generali, dirigenti e revisori assortiti), le cui facce, una accanto all’altro, sono le figurine – all’epoca sorridenti, oggi molto meno – di un lustro di storia della città. Molti di questi, attori non protagonisti e comparse, sono nel cast dell’altro colpo di scena: la richiesta di sanzione (1,2 milioni suddivisi fra Bianco, assessori e revisori) e di interdizione per dieci anni avanzata dal procuratore della Corte dei conti «per avere contribuito al verificarsi del dissesto finanziario». Per intenderci: se il crac del bilancio fosse un omicidio stradale, questa è soltanto la multa per eccesso di velocità e il ritiro della patente. Gli altri, eventuali, risvolti di danno erariale e di responsabilità penali correranno su binari diversi.

Ma questa non è soltanto una questione di scartoffie contabili e di conti che non tornano. “Processare” (lo scriviamo con le virgolette) Bianco, significa “processare” (le rimettiamo) gli ultimi trent’anni di storia di questa città. Incarnati dal sindaco per antonomasia. Dall’inquilino di Palazzo degli Elefanti – stimatissimo nei palazzi e nei salotti nazionali della politica e della finanza, ma anche della magistratura – che ha raggiunto picchi ineguagliabili nel capriccioso cuore dei catanesi. Che l’hanno osannato per la sua “Primavera” nello scorso millennio, si sono sentiti traditi per la sua scappatella romana al Viminale, l’hanno di nuovo scelto a furor di popolo nel 2013 e bocciato cinque anni dopo. Un odi et amo catulliano, che potrebbe avere persino un sequel se non dovesse arrivare la “squalifica” decennale. È l’anticamera del verdetto forse più tormentato, per Bianco. Che, se il 23 luglio fosse interdetto, per la legge Severino decadrebbe da consigliere comunale, con il potenziale effetto-domino di perdere i posti al sole nell’Anci, a Roma e a Bruxelles, certificati d’esistenza in vita nell’élite della politica nazionale dopo la sconfitta a Catania nel 2017.

Ma l’incubo dell’interdizione (al netto delle paturnie penali ed erariali) turba i sonni anche di altri compagni d’avventura dell’ex sindaco. A partire da quelli della cosiddetta sinistra catanese, luogo poco geolocalizzabile con i vecchi gps, ben oltre il leader di LiberalPd. Nelle due liste nere (quella dei pm di piazza Verga e quella della magistratura contabile) ricorre il nome di Angelo Villari, assessore di Bianco, così come Fiorentino Trojano, in quota alla gauche sindacal-cigiellina. Un pezzo importante del Pd catanese, che non a caso ha incoronato proprio Villari segretario per acclamazione. Per lui l’attesa dei giudizi sul crac finanziario si somma a quella per il chiarimento di un’altra vicenda. Condensata nella carte di “Malupassu”, il blitz con cui è stata colpita una cellula dei Santapaola a Mascalucia. Agli atti più di una intercettazione che portano i magistrati a ritenere plausibile, in un contesto di «scambio di voti controllati dal clan mafioso», un «attivo interesse» di un affiliato vicino al boss Puglisi, «per l’elezione del Villari», poi sfumata alle Regionali del 2017, «il tutto con l’obiettivo di ottenere favori dallo stesso Villari in relazione all’attività lavorativa svolta presso la Mosema». Il segretario del Pd chiarisce di non aver mai ricevuto alcun atto giudiziario che possa ipotizzare il suo coinvolgimento in una vicenda da cui è «totalmente estraneo».

Ce n’è abbastanza per aprire una questione morale? No, per Giacomo Rota, segretario della Cgil, che ieri ha annunciato la costituzione di parte civile del sindacato nell’eventuale processo sul buco di bilancio. Sì, per qualcun altro. Paolino Mangano, segretario di Articolo 1, che conia «caso Catania» come brusca sintesi della diaspora nella sinistra catanese degli ultimi vent’anni. E Matteo Iannitti di Catania Bene Comune, che martella sui social fino a far saltare i nervi pure all’ex deputata regionale Concetta Raia. Nel silenzio, non del tutto disinteressato, di altri santoni del centrosinistra. Ma i puntini di sospensione sono pure nel centrodestra. E riguardano il futuro.

Anche il sindaco Salvo Pogliese è in attesa di giudizio. In un processo, quello sulle spese pazze all’Ars nell’epoca in cui era capogruppo di Forza Italia, su cui il pupillo di Giorgia Meloni in Sicilia si dice sempre «fiducioso in un esito positivo».

Aspetta, anche Pogliese, un verdetto. Che, semmai fosse di condanna, farebbe scattare – ai sensi della famigerata Severino – la sospensione dalla carica di sindaco fino a 18 mesi. Cosa succederebbe? «Salvo non si dimetterà mai: ha scelto Catania e non la lascia», assicurano i suoi fedelissimi. Un proposito sincero, che gli fa onore. Sarebbe, in questo caso, il vicesindaco a tenere le redini. Ma c’è un ma. L’ultima udienza del processo, a Palermo, avrebbe dovuto tenersi a fine mese: il 24 o il 25. Ma, per l’ingolfamento dovuto allo stop per il Covid, è slittata. A data da destinarsi. E più questo giorno si allontana, più s’avvicina un altro scenario. Comunque doppio. La scadenza naturale della sindacatura è giugno 2023. In caso di assoluzione Pogliese sarebbe l’unico nome di chi, nel centrodestra, sta lavorando al “dopo di Nello”. Avrebbe FdI in trincea, piace a Matteo Salvini, Raffaele Stancanelli stravede per lui e persino Gianfranco Miccichè sarebbe disposto a dimenticare i rancori con “Salvuccio” (con cui ha ripreso a parlare, poco prima del lockdown, fra un’ostrica e una flûte di bollicine, alla sontuosa festa di compleanno del meloniano Gaetano Galvagno) pur di silurare Nello Musumeci. «Se il presidente vuole ricandidarsi – dice Pogliese agli amici che lo sondano – io non farò nemmeno un passo di un millimetro per andargli contro». Ma la sentenza potrebbe essere di condanna. E più si allontana il D-day, più diventerebbe inutile non dimettersi per scontare una sospensione che coinciderebbe, più o meno, con la fine del mandato.

E in questo caso – se davvero Pogliese si dimettesse, pur con la morte nel cuore, in caso di condanna a 2021 inoltrato – il club di chi è in attesa di giudizio (degli altri) ha molti iscritti. Fra i quali c’è chi ha in testa la pazza idea di Ruggero Razza candidato sindaco del centrodestra. Quella di assessore regionale alla Salute è una poltrona che vale quanto un ministero. Ma il giovane avvocato potrebbe pure lasciarla (mantenendola in campagna elettorale) per puntare a Palazzo degli Elefanti, lanciando, in caso di vittoria in elezioni anticipate che a quel punto si terrebbero prima delle Regionali 2022, la volata al Musumeci-bis.

Ma un certo formicolio c’è anche nell’altro schieramento. Il Pd, oggi, faticherebbe a esprimere un nome vincente. Italia Viva, però, ce l’ha. Da tempo. Ed è quello della senatrice Valeria Sudano. Che, riaccendendo la gioiosa macchina da guerra (elettorale), potrebbe imporsi come candidata del centrosinistra unito, magari col rischio di perdere qualche pezzo alle estremità. Oppure decidere di correre da sola, in un rassemblement di liste civiche e moderate. Sia nell’uno sia nell’altro caso potrebbe avere, fra i tanti altri, l’appoggio di Raffaele Lombardo. Che, tornato da un paio di settimane dalla sua lunghissima quarantena bucolica, a Catania un peso elettorale ce l’ha ancora. Eccome.

Eppure anche in questa fantapolitica ipotesi c’è di mezzo un altro giudizio. E un’altra attesa. Quella di Luca Sammartino. L’azionista di maggioranza relativa dei voti di Matteo Renzi in Sicilia aspetta l’esito dell’inchiesta per corruzione elettorale. L’avviso di conclusione indagini risale a dicembre scorso, ma nelle ultime settimane – anche a seguito delle poderose memorie difensive presentate – la Procura ha presentato un’integrazione, relativa ad alcune ipotesi di reato sull’asse favori-voti con un coindagato dell’hinterland etneo. E dunque i tempi s’allungano. Per sapere se e quando ci sarà la richiesta di rinvio a giudizio e l’eventuale processo. Che azzopperebbe la corsa di Sammartino, benedetta da Renzi in persona, verso Palazzo d’Orléans. E indebolirebbe, ma non farebbe tramontare, la tentazione di Sudano sindaca.

Anche loro – come tutti gli altri – condannati ad aspettare.

Che la giustizia, king maker (più o meno inconsapevole) della politica, faccia il suo corso.

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