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Catania: imprenditori, boss e funzionari indagati per traffico e smaltimento illecito di rifiuti

Di Redazione |

CATANIA – Quattordici arresti per traffico illecito di rifiuti. E una rete di persone che per profitto smaltiva qualsiasi tipo di rifiuto tossico e pericoloso infischiandosene dell’ambiente e delle consoguenze. L’operazione “Piramidi”, eseguita dai carabinieri del Comando Provinciale di Catania e del Noe ha portato ha portato agli arresti una vera e propria organizzazione di imprenditori in odor di mafia e funzionari pubblici accusate a  vario titolo, di traffico illecito di rifiuti, estorsione e rapina, commessi con il metodo mafioso, usura, corruzione, falso in atto pubblico e traffico di influenze illecite. Il Gico della guardia di finanza sta eseguendo il sequestro finalizzato alla confisca di sei imprese e dei rispettivi beni, per 50 milioni di euro.

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Al centro dell’inchiesta della Dda della Procura di Catania due imprenditori, padre e figlio, indicati come appartenenti a Cosa nostra e legati direttamente e prestanome di un boss, per la gestione e il trattamento illecito di tonnellate di rifiuti provenienti da tutto il territorio nazionale, anche grazie alla connivenza di pubblici funzionari della Regione Sicilia deputati al rilascio delle autorizzazioni. I particolari dell’operazione sono stati resi noti dal Procuratore Carmelo Zuccaro in una conferenza stampa in Procura.

In tutto sono stati emessi 17 provvedimenti: 7 persone sono state arrestate e portatet in carcere, 7 sono state poste ai domiciliari e per 3 persone sono state emesse misure interdittive. I 17 indagati sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di traffico illecito di rifiuti, estorsione e rapina, con l’aggravante del metodo mafioso, usura, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e traffico di influenze illecite.

Con lo stesso provvedimento è stato disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di 6 imprese e dei rispettivi beni aziendali il cui valore complessivo è stimabile in almeno 50 milioni di euro.

 L’attività di indagine, condotta dal 2012 al 2015, ulteriormente riscontrata dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia, nasce dall’azione sinergica di tre forze di polizia giudiziaria coordinate dalla Dda di Catania ed ha consentito di fare emergere le condotte criminali nel settore del traffico dei rifiuti dell’imprenditore Antonino Paratore e dal figlio Carmelo, legati – secondo le indagini della Procura, a “Cosa Nostra” catanese  e più direttamente al boss Maurizio Zuccaro per il quale agivano anche come prestanome.

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Le investigazioni hanno permesso di ricostruire la realizzazione di enormi guadagni derivanti dalla gestione e dal trattamento illecito di tonnellate di rifiuti provenienti da tutto il territorio nazionale. Nel dicembre 2012, dal monitoraggio del processo di raffinazione e frazionamento del petrolio da parte delle industrie petrolchimiche, si accertava che la principale società nel trattamento e smaltimento dei catalizzatori esausti, e quindi non più rigenerabili, era proprio la Cisma Ambiente SpA, con sede legale ed operativa in Melilli (Siracusa), i cui titolari di azioni, erano diverse società tutte riconducibili alla famiglia Paratore.

Il gruppo avrebbe fatto ampliare la discarica Cisma Ambiente senza averne i requisiti e gestito in maniera illecita il conferimento che doveva essere limitato ai rifiuti di Siracusa e provincia e invece riceveva anche quelli di altre regioni italiane.

 

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Addirittura nella discarica Cisma Ambiente di Melilli veniva smaltito anche il “polverino” dell’Ilva di Taranto. Questo, secondo l’accusa sarebbe avvenuto «con la connivenza di pubblici funzionari della Regione Siciliana deputati al rilascio delle autorizzazioni, tonnellate di rifiuti realizzando ingenti guadagni ed inquinando gravemente l’ambiente». Lo avrebbero fatto «omettendo per anni di attivarsi, sebbene fossero stati informati dagli organi di controllo della condotta della Cisma che, all’interno della discarica avrebbe operato in assoluto disprezzo delle autorizzazioni e della normativa ambientale».

Tra i destinatari del provvedimento infatti c’è anche l’ex dirigente regionale Gianfanco Cannova, di 59 anni, un funzionario del Comune di Mellili (Siracusa), Salvatore Salafia, di 58 anni, e il dirigente del Dipartimento Acque e Rifiuti della Regione Siciliana Mauro Verace, di 60 anni, al quale sono stati concessi i domiciliari.

  «Sarebbe – sottolinea la Procura – stato significativo l’apporto di un funzionario dell’Assessorato Regionale alle Infrastrutture ed alla Mobilità di Palermo, che sarebbe divenuto lo strumento dei due Paratore per esercitare la necessaria pressione verso gli apparati della Pubblica Amministrazione per il raggiungimento dei loro fini illeciti». 

Il Gico della Guardia di finanza di Catania ha sequestrato, come detto,  beni per 50 milioni di euro riconducibili agli imprenditori Antonino Paratore e al figlio Carmelo, compreso il noto lido catanese “Le piramidi”, dal quale l’operazione ha preso il nome.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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