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Etna, vulcano ora rallenta la sua corsa Esperto: «Nella faglia Fiandaca origine sisma»

Di Alfio Di Marco |

Catania – I segnali che arrivano dall’Etna, tre giorni dopo la scossa di magnitudo 4.8 registrata nel Catanese, sono confortanti.  L’Ingv ha registrato infatti una serie di terremoti di intensità ulteriormente scemata, tutti di magnitudo inferiore a 2.0 e nessuno dei quali avvertito. E anche i valori del tremore dei condotti interni del vulcano, che segnalano l’energia del magma in risalita, sono ulteriormente calati, attestandosi su dati che sono nella norma. Già ieri Eugenio Privitera, direttore dell’Osservatorio Etneo Ingv (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia) era apparso fiducioso sul processo di normalizzazione dell’attività del vulcano.

«La crisi eruttiva dell’Etna sembra in deciso regresso – ha affermato Privitera – . Quasi esaurita l’emissione di lava nell’alta Valle del Bove; calata la sequenza dei terremoti; scesa l’ampiezza del tremore; stabilizzata la deformazione del suolo: a meno di un’improvvisa recrudescenza dei fenomeni, possiamo affermare che la violenta attività, cominciata la mattina della Vigilia di Natale, tende al declino». «In queste ore – precisa – stiamo continuando a osservare la fase esplosiva all’interno della Bocca Nuova dove, a intermittenza, si susseguono fenomeni stromboliani, accompagnati da alte colonne di gas e vapori. Diminuita invece l’emissione di cenere ricaduta soprattutto sull’area sud-occidentale dell’edificio vulcanico. Diciamo che, ancora una volta, il vulcano ha provato a spaccare il suo fianco meridionale, senza per fortuna riuscirci».

Restano però i danni provocati dalla scossa di magnitudo 4.8 da Fleri ad Aci Platini e Santa Maria degli Ammalati. Un terremoto che ricorda molto quello del 1984 quando due scosse, tra il 19 e il 25 ottobre, misero in ginocchio proprio l’abitato di Fleri dove il 70 per cento delle case fu dichiarato inagibile. In quel caso, la crisi sismica arrivò alla fine di una fase eruttiva del cratere di Sud-Est. «Oggi come allora – dice ancora Privitera – il terremoto è stato provocato da una frattura lungo la faglia di Fiandaca. Con una differenza: oggi il sisma è arrivato all’inizio della crisi eruttiva, allora la terra tremò dopo la conclusione della lunga fase stromboliana cominciata in primavera. Questo ci dice che la Fiandaca in un modo o nell’altro subisce di riflesso i fenomeni legati al Sud-Est. E, dunque, è evidente che dobbiamo studiarne approfonditamente la struttura e le dinamiche».

«La distribuzione dei danni e l’estensione della fagliazione – conclude il direttore – sono molto simili a quelle riportate dalle fonti storiche anche per gli eventi documentati del 1875 e del 1907. La crisi eruttiva di questi giorni poco si discosta dalla casistica che contraddistingue le eruzioni effusive etnee, in occasione delle quali un trasferimento di stress dalle masse intruse verso le porzioni più superficiali dei fianchi del vulcano può generare l’innesco di terremoti anche a distanza di chilometri dai centri eruttivi. Ricordiamo infatti che il terremoto dell’altra notte non è stato innescato da movimenti di masse magmatiche presenti nell’area in cui è stato individuato l’epicentro, bensì rappresenta la risposta del fragile fianco orientale del vulcano a uno stress indotto dal sistema magmatico che ha costituito la sorgente dell’eruzione. Rientra nella dinamica delle eruzioni vulcaniche il fatto che l’intrusione di un dicco magmatico trasferisca uno stress alle strutture tettoniche vicine, provocando terremoti pure di elevata magnitudo».

Un quadro che porta a essere fiduciosi. Anche perché, vista l’apertura della frattura sull’orlo della Valle del Bove e il repentino sviluppo dei fenomeni effusivi, in un primo momento gli esperti erano andati con la mente all’eruzione del 1991-93, la più lunga in epoca recente: cominciò infatti il 14 dicembre 1991 e terminò il 30 marzo del 1993. Allora, la lava fuoriuscì da un sistema di fratture localizzate lungo la base del cratere di Sud-Est, in direzione nord-sud, che si estesero in pochi giorni da quota 3.100 a quota 2.200 sul livello del mare. Le colate che scaturirono dalle bocche si riversarono in più fasi nella Valle del Bove. Da lì scavalcarono il Salto della Giumenta e si spinsero in Val Calanna, cancellando castagneti e frutteti. A quel punto i militari dell’Esercito, in collaborazione con la Protezione civile, realizzarono un alto muraglione a Portella Calanna. La barriera artificiale (lunga 234 metri e alta 21) riuscì a reggere la spinta della lava fino all’8 aprile 1992, quando a seguito di un aumento della fluidità della lava che nel frattempo si era interamente ingrottata, fu travolta e superata. Zafferana era a rischio. La salvezza arrivò il 27 maggio con la deviazione della colata effettuata dai genieri della Marina che utilizzarono speciali cariche esplosive per far crollare la volta dell’enorme budello roccioso, costringendo il magma a cambiare percorso e a cessare di alimentare i fronti avanzati.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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