Il comandante dei carabinieri lascia Catania e un consiglio ai catanesi: «Indignatevi di fronte al degrado di questa città bellissima»
Per tre anni, intensi e impegnativi, ha guidato il comando provinciale dell'Arma: ecco il suo bilancio
Rino Coppola saluta Catania. Per tre anni, intensi e impegnativi, ha guidato il comando provinciale dei carabinieri. Un ruolo operativo che lo arricchito dal punto di vista professionale ma anche emotivo e umano. Per una frazione di secondo il colonnello mostra il volto dell’uomo che la divisa e il ruolo istituzione tiene giocoforza nascosta. Ma quando nell’intervista di commiato tocchiamo il caso della piccola Elena Del Pozzo l’emotività travalica. Un’indagine che lo ha toccato nel profondo. Così come il ferimento del collega Sebastiano Grasso colpito da un proiettile vagante. Un bagaglio di esperienze che sicuramente sarà prezioso per il nuovo prestigioso incarico che tra qualche giorno andrà a ricoprire a Roma. Sarà il nuovo comandante del Reggimento Corrazzieri, l’unità speciale che si occupa della sicurezza ravvicinata del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Comandante, come sono stati questi tre anni?
«Sono stati tre anni intensi, impegnativi e avvincenti. Il tempo è volato. Io sono arrivato nel settembre del 2020, quindi c’era ancora il problema della pandemia. I carabinieri si sono dovuti confrontare con i nuovi problemi connessi con l’emergenza Covid ma lo hanno fatto con grande senso del dovere e grande slancio. Mi piace segnalare che nel periodo pandemico nessuna delle stazioni dei carabinieri ha mai chiuso e non è stata una scelta istituzionale, è stata una scelta corale dei singoli perché si è sentita forte la necessità di non far sentire nessuno solo sul territorio».
Il Covid vi ha visto impegnati anche in diverse indagini volte a prevenire possibili infiltrazioni mafiose?.
«L’attività sia investigativa che preventiva è stata molto attenta da questo punto di vista. Credo che molti dei pericoli che si palesavano all’orizzonte siano stati scongiurati».
Nel 2021 la famiglia dei carabinieri è stata colpita nel profondo con il ferimento del vicebrigadiere Grasso.
«È stato un momento particolarmente complicato, intanto dal punto di vista investigativo si è cercato di fare immediatamente chiarezza e assicurare alla giustizia gli autori del gesto. È stato un momento anche di grande spirito di corpo perché tutti quanti ci siamo stretti attorno alla famiglia di Grasso per fornire la necessaria e dovuta assistenza. Quindi da un lato è stato un momento di impegno operativo, ma anche di coralità a sostegno del collega che si è trovato in una situazione di difficoltà che purtroppo continua. Il collega è costretto su una sedia a rotelle».
L’omicidio della piccola Elena Del Pozzo magari è stato quello che più l’ha colpita tra i tanti fatti di sangue di cui si è occupato a livello investigativo in questi tre anni.
«I reati che riguardano i minori sono quelli più impattanti non soltanto sull’opinione pubblica ma anche emotivamente sugli stessi investigatori. Lo testimonia il fatto che io ricordo ancora il caso della piccola Fortuna Loffredo (stuprata e uccisa, ndr) di Caivano di cui mi sono occupato quando ero comandante del gruppo di Castello di Cisterna. Sono eventi che ti segnano e che ti porti dentro».
Sono state tante le operazioni svolte in questi tre anni contro la criminalità organizzata, ma “Sangue Blu” appare essere quella che abbia inferto la ferita più profonda a Cosa nostra.
«Condivido in punto di analisi il fatto che “Sangue Blu” sia una manovra investigativa importante nell’ambito delle attività di contrasto a Cosa nostra etnea. Di fatto però è il frutto di una serie di indagini che si sono sviluppate dei carabinieri nel corso degli anni. Non bisogna mai perdere il filo delle cose che accadono all’interno delle organizzazioni criminali che si stanno contrastando».
Quale è il passo successivo?
«I Santapaola-Ercolano sono mafia imprenditrice e con i grandi appalti del Pnrr è importante capire questa compagine criminale come si sta riorganizzando».
Quando è arrivato che città ha trovato?
«La mia sensazione è fortemente condizionata dal periodo della pandemia. Io ho trovato una città paralizzata. È stato bello poi man mano vedere la ripartenza delle attività».
Quando si è risvegliata che Catania ha visto?
«Io quello che vedo è una Catania dalle enormi potenzialità. Di una bellezza che affascina che però è spesso bilanciata in negativo da situazioni di degrado. Tutto questo provoca un senso di indignazione. Lo dico in parte da osservatore esterno anche se ormai dopo tre anni mi ritengo catanese a pieno titolo. Molti si sono abituati a questo stato di cose e la considerano la normalità mentre per cambiare c’è bisogno della capacità di indignarsi da parte dei catanesi».
Il cambiamento è possibile?
«Assolutamente sì. Vorrei avere la capacità di proiettarmi da qui a 15 anni. Sono sicuro che sarà una città migliore di quella che vediamo oggi».