La gentrificazionetra impegno sociale e “scusa” immobiliare
. Bisognerebbe infatti chiedersi se Catania, o forse la Sicilia, o forse l'Italia, siano “gentrificabili”, se sia possibile riqualificare un quartiere al di là del bonus “facciata”, in senso anche e soprattutto metaforico.
Cosa c’entra la mossa di karate volante che ha colpito al petto il cantautore Mario Venuti in zona (gentrificata) castello Ursino con la “Porta delle Farfalle” a Librino della Fondazione Fiumara d’Arte di Antonio Presti? Tutto. Bisognerebbe infatti chiedersi se Catania, o forse la Sicilia, o forse l'Italia, siano “gentrificabili”, se sia possibile riqualificare un quartiere al di là del bonus “facciata”, in senso anche e soprattutto metaforico.
Gentrificazione deriva da “gentrify” che significherebbe “rendere signorile”, termine a sua volta derivato da “gentry”, che significa “piccola nobiltà” e in genere riferito ai rami cadetti. Gentrificazione dovrebbe dunque e innanzitutto essere una categoria dello spirito (leggere “La nobiltà dello spirito” di Thomas Mann, ma ci vuole più della terza media - e questo è già un primo problema), a meno che non crediate davvero che “nobiltà” significhi soltanto avere soldi e potere e parquet (lo so che in molti lo credono, ma è un problema, appunto, loro).
Com'è intesa, insomma, la gentrificazione si riferisce a una categoria sociologica che non saprei bene come definire, tipo “architetturalistica-ristrutturalistica a uso di design”, che laddove sia una emanazione di una nobiltà dello spirito, e non del cotto toscano e del mobile Ikea, potrebbe, in teoria, attraverso azioni di vera (nel senso di etimologicamente corretta) gentrificazione (in senso di nobilitazione), poggiare le basi su una “quartieralità” positiva che tende a soffrire in prima persona del degrado di alcune zone della città, che vorrebbe vedere civilizzate (qui ancora dobbiamo “civilizzare” e voi già pensate a “gentrificare”…). Il termine “gentrificazione” fu introdotto nel dibattito dalla sociologa inglese Ruth Glass nel 1964, con connotazioni del tutto negative e svelatamente ciniche; con il significato di miglioramento “fisico” (e non spirituale) di un quartiere e conseguente aumento del valore immobiliare; si parla di mattoni e soldi, di prendere edifici che una volta nobili lo erano davvero e renderli contemporanei, ossia “arrinisciuti”. E qui sorgono alcune domande: com’è possibile che “gentrificato” abbia assunto una connotazione positiva, trendy, alla moda? Non sarebbe meglio allora chiamarla “arripuddutescion” (da “arripuddutu”, nuovi ricchi, elevati in senso economico ma non spirituale)? La romanzeria e la filmografia americana sono pieni di esempi di tal genere: la nonna preoccupata del nipote che sta troppo in strada, lo scrittore appartato che “salva” qualcuno grazie all'amore e il rispetto per la parola, gli attivisti di qualunque specie che cercano di armonizzare i nuovi arrivati gentrificanti con gli abitanti storici del quartiere e roba di questo genere. E invece schiere di architrendy e desaparerecidosigner planano sull'affare immobiliare con leziose mossettine e canini sanguinanti (così come Ruth Glass aveva descritto). E infatti nessuno vuole “gentrificare” Librino o il Villaggio Sant'Agata. Nessuno tranne tranne Antonio Presti.
Quindici anni fa con la “Porta della Bellezza” che prese cinquecento metri di un cavalcavia facendone un’opera d’arte collettiva (arte del territorio) e venerdì prossimo con “La Porta delle Farfalle”, aggiungendo altri mille metri con opere che hanno coinvolto associazioni, scuole, ventimila studenti di Librino. Non so se sia corretto definirla “land-art” o civic-art o urban-art, è certo però che non si tratta soltanto della “facciata”, perché ogni opera monumentale della Fiumara d’Arte e di Antonio Presti (e di Gianfranco Molino, presidente della Fondazione) entra nel territorio e parla, fisicamente (con gli incontri nelle scuole, nei laboratori, nelle residenze degli artisti che arrivano da tutto il mondo a dare il loro contributo artistico e di condivisione e di testimonianza), con gli abitanti del quartiere, rivalutandone lo spirito, la conoscenza della bellezza, l’iniziazione all’arte in un’opera di “gentrificazione” più fedele all’etimo che alla storia (volgare) di questo termine. Detto in altri termini, bisogna capire se la gentrificazione debba avere a che fare con l’arte o con il design, con la nobiltà o con la borghesia, con la città o con il proprio patrimonio immobiliare.