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“La Traviata sono io” al Bellini: Giuseppina e il “suo” Verdi

Domenica 21 maggio, ore 17,30, va in scena al Teatro Massimo il recital di Filippo Arriva, voce recitante e regìa di Alessio Boni

Di Filippo Arriva |

Domenica 21 maggio, ore 17,30, va in scena al Teatro Massimo di Catania il recital “La Traviata sono io” di Filippo Arriva, voce recitante e regìa di Alessio Boni. Le musiche per due pianoforti, dalla famosa opera, sono di Marco Salvio, interpreti Wei Jiang e Federico Nicoletta. Abbiamo chiesto all’autore di anticipare il tema del recital.

Filippo Arriva racconta il tema del recital

Lei lo chiamava “Mostro” o “Mago”, lui rispondeva con “Peppina” o “Pasticcio”. Giuseppina Strepponi e Giuseppe Verdi immortalano l’esempio di quanto di più lontano e differente l’amore sappia unire. Da una parte il grande musicista, il genio assoluto dall’animo contadino, dall’altra la donna raffinata, grande cantante, bella, colta, dalla scrittura elegante. Una cosa in comune, sono degli innamorati. E dunque simili a tutti gli innamorati.Agli artisti le biografie, a volte, negano una vita privata. Eppure essa esiste, eccome! Determinando anche la vita pubblica o artistica. Anche i geni si alzano al mattino, fanno colazione, vanno in bagno, baciano la moglie, scelgono come vestirsi, guardano fuori dalla finestra… E lo facevano anche Giuseppina Strepponi e Giuseppe Verdi.

Lui, nato nel 1813, rimase sempre un contadino per nascita musicista per vocazione, sublime vocazione. Curava i quaderni dei conti come fossero partiture, guardava ai suoi campieri come fossero personaggi delle opere, guardava alle lotte del Risorgimento come fossero una necessità.Lei, nata nel 1815, aveva l’incanto nello stile e nello sguardo, era nata sì in Emilia Romagna, ma aveva sciacquato i panni in Europa. Soprattutto in quella Parigi che era la leva che faceva girare quella trottola che è il mondo. La ville lumière in cui era dolce emergere o naufragare per ogni genere di artista. La città che avrebbe dato la vecchiaia a Rossini e la morte a Bellini.

Peppina e Peppino si erano conosciuti negli Anni Quaranta dell’Ottocento. Lei aveva avuto una relazione con il cantante Napoleone Moriani, e da questo rapporto ne erano nati due figli illegittimi; quindi una relazione con Bartolomeo Merelli, impresario della Scala. Inutile dire che, per questi amori, era considerata “donna perduta, dal passato burrascoso”. Il musicista rimasto vedovo nel 1840 di Magherita Barezzi era sul punto di abbandonare la carriera di compositore quando arrivò il trionfo del “Nabucco”, protagonista proprio la Strepponi. Si conobbero meglio, si corteggiarono e nel tempo si amarono. Forse in tutte le belle biografie di grandi artisti e di meravigliose donne c’è un momento in cui lo storico impugna la penna di Liala.

Era il tempo delle lettere. Quelle scritte a mano su carta pregiata (a volte profumata) che diventano la sincera radiografia di un amore che non fu folle, ma crebbe negli anni creando, pian piano, un rapporto dalle lunghe radici. Un rapporto dentro cui Giuseppina, ormai con forti problemi vocali (era stata fischiata a Palermo) si ritagliò uno spazio in penombra, al suo fianco sempre, dolce e severa come sa esserlo una stupenda donna innamorata.E Verdi tutto capì con le sue scarpe grosse e il cervello finissimo. La voleva accanto a sé a consigliarlo. Era Giuseppina il “Livello”, colei che sapeva moderare gli eccessi e rivelare i pudori: “E tu – gli scrive – non hai ancora composto nulla per la nuova opera per Venezia? Vedi? Non hai il tuo povero Livello in un angolo della stanza, rannicchiata su una poltrona che ti dica questo è bello, Mago – questo no – Fermati – ripeti: questo è originale. Or senza questo povero Livello Iddio ti castiga facendoti aspettare e lambiccare il cervello, prima di aprirne le caselline e farne uscire le tue magnifiche idee musicali. La tua Peppina che ti adora”.Guarda la “attività politica” prendendolo in giro: “Caro il mio Pasticcio, forse quando arriverà questa lettera, tu sarai a Torino, se, come ne avevi l’intenzione, vuoi assolutamente vedere Cavour! Si va a far visita ai ministri di Stato, precisamente come io vado dalla Giovanna”.

E sì, con delicatezza Giuseppina lo educa. Verdi sa che è lei la sua anima. Così quando i bussetani, per bocca dell’ex suocero, dichiarano di non gradire quella donna di “facili costumi”, il musicista scriverà una lettera di fuoco contro il paese, mandando tutti al diavolo ripetendo che nessuno si può permettere di giudicarli. E mancare di rispetto a Giuseppina “sarà come mancare di rispetto a me stesso”.Così quando Verdi ebbe tra le mani l’opera di Dumas sulla “cortigiana” Violetta Valery la riconobbe come un possibile sfogo e una autobiografia, il suggello di una devozione e la denuncia della stupidità degli uomini. Infatti, alla prima, 1853, “La Traviata” non fu ben accolta. Una prostituta in scena! Ma già dalla prima replica il successo fu assoluto. E proprio il periodo della composizione dell’opera più rappresentata al mondo – appunto, “La Traviata” – che si racconta, attraverso le lettere, nel recital che vede interprete il grande attore Alessio Boni.

Verdi e la Strepponi si sposarono nell’alta Savoia (gesto politico, anche) nel 1859. Ogni anno si recavano, un pellegrinaggio?, a Parigi. Giuseppina morì nel 1897. Verdi nel 1901, forse rifiutandosi di mettere piede in un secolo che non gli apparteneva.Resta, tra le pagine chiare e le pagine scure della musica, un meraviglioso epistolario che ha l’intimità di un romanzo di formazione, della costruzione di un amore. Perché quella che regalò Giuseppina al suo “Mostro” fu una lenta, dolce, delicata “educazione sentimentale”.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA