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il caso
L’ex poliziotto catanese in chemio da sedici anni: «Basta, voglio il suicidio assistito»
Giovanni, 70 anni: «Per andare in Svizzera servono 20 mila euro e io non li ho». Raccolta di firme dell'associazione Luca Coscioni
Sedici anni di cure chemioterapiche, di viaggi della speranza dalla Sicilia verso strutture specializzate al Nord. Anni di apparenti vittorie, recidive e nuovi gravissimi problemi di salute collegati anche alle terapie salva vita. E Giovanni, – nome di fantasia – ex poliziotto 70enne è sicuro: «Dopo tutte queste traversie sono stanco di continuare a lottare per una vita che non è vita ma sofferenza e dolori costanti», dice. Vuole accedere al suicidio assistito. Ma lui, residente a Catania, non può farlo, «se non con una complicata trafila legale e un costoso trasferimento in Svizzera, dal costo di almeno 20 mila euro, che non ho».
Le ragioni di Giovanni
A spiegare il perché è lui stesso: «Il parlamento italiano – racconta con una voce stentorea – non ha ancora legiferato sul fine vita e ha supplito la Corte costituzionale, che con la sentenza 242 del 2019 ha aperto al suicidio assistito, da eseguire in una struttura pubblica. Con la nuova sentenza del 18 luglio, la 135 del 2024, la Consulta ha chiarito che la mia terapia chemioterapica rientra nei trattamenti di sostegno vitale, uno dei requisiti per accedervi secondo la precedente sentenza. Ma non posso farlo. Ho consultato dei legali, e a decidere della presenza dei requisiti per il suicidio assistito deve essere l’Azienda sanitaria del territorio con una commissione composta da vari medici specialisti e del comitato etico. E questa non è presente all’Asp di Catania».
L’associazione Luca Coscioni
Una ricostruzione confermata da Maurizio Vaccaro, referente della cellula di Catania dell’associazione Luca Coscioni che da anni è il riferimento sulla tematica, avendo anche seguito i casi che hanno portato alle pronunce della Corte costituzionale. Una situazione che può sbloccarsi «con norme a livello regionale – spiega Vaccaro – in mancanza di una legge nazionale». Il tutto nonostante quel che scrive la Consulta «abbia già valore di legge. Il “fine vita” è a tutti gli effetti una prestazione sanitaria, e la decisione di erogarla può essere già presa. Ma ci sono stati casi di attese lunghissime».
La raccolta di firme
L’associazione sta promuovendo anche in Sicilia un disegno di legge su iniziativa popolare che prevede, come da dettato della Consulta, l’istituzione di commissioni e comitati etici nelle Asp, che prenderanno le decisioni entro 30 giorni. «Tra pochi giorni, il 27 o il 28 agosto, presenteremo al Dipartimento delle Autonomie locali della Regione Siciliana la nostra proposta. Questo significa – prosegue Vaccaro – che potremo iniziare a raccogliere le diecimila firme previste in Sicilia già da settembre. Da allora avremo 90 giorni per farlo, ma solo con banchetti. Purtroppo in Sicilia non c’è possibilità del voto elettronico come per l’Autonomia differenziata», spiega Vaccaro.
Il numero bianco
In attesa di un chiarimento normativo anche in Sicilia, non restano molte strade per persone come Giovanni, se non una battaglia legale. «Da anni abbiamo attivato un “numero bianco” per fornire le informazioni sul fine vita, e c’è la possibilità anche di accedere a un “secondo livello” per parlare con medici e avvocati». In Sicilia a inizio 2024 erano già 150 le richieste. «Ma forse – conclude amaramente Giovanni – rimane solo il suicidio rapido ed economico. Finora ho resistito per amore della mia famiglia. Ma ritengo cge ho superato il limite della sopportazione e della resistenza alla sofferenza».