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Maltempo, cosa è accaduto a fiumi e torrenti? Allarme di esperti sul Gornalunga già nel 2007

Di Gianluca Reale |

Catania – Manutenzioni mancate che generano “l’effetto tappo” e alvei dei fiumi rialzatisi mettendo a rischio la tenuta degli argini. Potrebbero essere queste alcune delle probabili cause dell’esondazione dei corsi d’acqua della Piana di Catania, l’altro ieri notte. Nel primo caso, la denuncia viene dal presidente della Cia Sicilia Orientale, Giuseppe Di Silvestro e dal direttore, Graziano Scardino: «Occorre sollecitare il taglio degli arbusti e delle canne: materiale rimasto all’interno dell’alveo dei fiumi, che la scorsa notte, hanno creato un effetto tappo». Per la Cia occorre anche “creare una cabina di regia unica per gestire questi eventi”. Nel secondo caso, parlano gli studi fatti negli anni da tecnici che di gestione idraulica del territorio se ne intendono e il bacino del Simeto lo conoscono bene. Soprattutto uno, quello a cui furono chiamati i docenti del Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura dell’Università di Catania nel 2007, dopo l’evento del dicembre 2005 che mise in difficoltà la base di Sigonella. Studio che evidenziò molte situazioni critiche.

“Gli americani – racconta Antonio Cancelliere, docente di docente di Idrologia e Gestione delle risorse idriche – si rivolsero a noi per capire quali fossero le cause della rottura degli argini dei fiumi e lo studio rilevò alcune insufficienze idrauliche sia nel Gornalunga sia nel Dittaino. Un rilievo di dettaglio dell’alveo del Gornalunga, inoltre, mise in evidenza un fenomeno di interrimento dell’alveo che aveva fatto si che il fondo si fosse sollevato di parecchio. Vuol dire che è come se gli argini si fossero abbassati”. E cambiato qualcosa da quella rilevazione di oltre dieci anni fa? “Direi – ammette il professore – che non è cambiato nulla”.

Nelle campagne perdite per milioni di euro

Ma cosa è successo nei corsi d’acqua della Piana di Catania l’altra notte? “Le precipitazioni sono state davvero intense – aggiunge Cancelliere – ma suppongo che ci siano stati dei problemi strutturali alle opere di difesa. Consideriamo che per tutta quella zona la condizione di partenza è critica dal punto di vista idraulico. Storicamente lo è sempre stata. Ricordo l’alluvione degli Anni Cinquanta, ad esempio. Ci sono stati diversi interventi di difesa degli argini, ma ci sono tanti attraversamenti stradali, ci sono problemi di vegetazione in alveo che non viene sfalciata e rimossa a inizio stagione, c’è una situazione di degrado dei vecchi canali di bonifica. In generale – aggiunge Cancelliere – c’è una mancanza di manutenzione e questo non è sempre colpa delle istituzioni, perché capita anche che i privati, per avere più terreno, colmino i canali. Diciamo, però, che sono mancati investimenti e interventi qui, come anche in molte altre parti d’Italia”.

Quello per Sigonella, non è l’unico studio sul bacino idrologico del Simeto, che comprende anche i corsi d’acqua esondati l’altra notte, di cui si è occupato il Dipartimento dell’università etnea in passato. “Negli anni ’80 – aggiunge Cancelliere, – avevamo fatto il Piano di bacino in cui si mettevano già in evidenza le criticità dell’area. Dopo Sigonella, nel 2008 ci siamo occupati di uno studio di dettaglio sulla zona di congiungimento Simeto-Gornalunga e sulla zona del ponte Primosole, per dimensionare gli attraversamenti dell’autostrada Catania-Siracusa”. Che praticamente è quasi un ponte dalla tangenziale di Catania sino alla galleria che porta a Lentini. Studi evidentemente proficui se l’autostrada, in questa occasione, non ha risentito di allagamenti o inondazioni, rimanendo sempre percorribile.

“Ho sentito la protezione civile – afferma Enrico Foti, professore di Idraulica e direttore del Dipartimento – e l’idea che mi sono fatto è che si tratti di un evento simile a quello del 2005 che interessò anche la base militare di Sigonella, seppure stavolta in proporzioni decisamente più ampie e importanti. Il fatto che ci sia una criticità nel bacino del Simeto è nota, ma ce lo ricordiamo solo in questi frangenti. Questi problemi si verificheranno sempre di più se non si interviene sia con una manutenzione di argini e corsi d’acqua sia con una visione unitaria di tutto il bacino, cosa che sino ad oggi è mancata”. Il professore mette le mani avanti, “non dispongo di elementi scientifici per fare un’analisi precisa”, ma “il bacino del Simeto – aggiunge Foti – copre circa un sesto del territorio siciliano, è una cosa enorme e convoglia tutta l’acqua che cade in quest’area. Se non si affronta la problematica con questa visione di insieme, mantenendo una memoria di quanto accaduto in passato, non si potranno prevenire eventi come questo”. Finora, infatti, si è proceduto con interventi singoli, senza considerare una scala ampia. Perciò, sostiene il docente, servirebbe più che mai un’Autorità di bacino che osa essere operativa.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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