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Migranti in sciopero della fame: è tensione sulla Diciotti. Governo conferma linea dura

Di Redazione |

ROMA – Ancora nessuna soluzione per la Diciotti, mentre a bordo della nave la situazione comincia a farsi sempre più difficile. Dopo il quarto giorno di permanenza nel porto di Catania sull’imbarcazione, gran parte dei 150 migranti ha intrapreso uno sciopero della fame. E il ministro Salvini prosegue il suo braccio di ferro con l’Europa, che stenta a trovare un accordo nonostante il vertice di oggi, e le procure siciliane. In particolare quella di Agrigento, la quale ha annunciato che domani il procuratore Luigi Patronaggio sarà a Roma per sentire alcuni funzionari del Viminale. Il vicepremier leghista, però, ribatte: «Se questo magistrato vuole capire qualcosa gli consiglio di evitare i passaggi intermedi. Siccome c’è questo presunto sequestratore e torturatore, sono disponibile a farmi interrogare anche domani mattina».

Il ministro dell’Interno sta anche valutando «la possibilità di fare procedure di identificazione e riconoscimento per individuare profughi veri, che sono la minoranza, dai finti profughi prima ancora che le persone sbarchino». Dopo la discesa dei 27 minori non accompagnati due giorni fa, sulla Diciotti ci sono complessivamente 130 eritrei, 10 migranti delle Isole Comore, sei bengalesi, due siriani, un egiziano ed un somalo. Di questi, sono 120 le persone che da oggi hanno intrapreso lo sciopero della fame, mentre le restanti trenta, comprese le undici donne a bordo, si alimentano regolarmente. Per alcune ore, le visite dei parlamentari a bordo sono state sospese per ragioni di sicurezza. Le associazioni del Tavolo Asilo, tra cui Amnesty International e la Comunità di S. Egidio, in una lettera aperta chiedono «con urgenza al Governo italiano di autorizzare lo sbarco» e la deputata di Leu ed ex presidente della Camera Laura Boldrini rilancia il suo appello a Salvini affinché «faccia scendere almeno queste ragazzine traumatizzate». Ma il ministro ha replicato che a bordo della nave verrà «data tutta l’assistenza necessaria».

Sul fronte delle inchieste, proseguono le indagini del procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio, che inizialmente ipotizzava i reati di sequestro di persona e arresto illegale, contestazioni che però potrebbero essere modificate dagli inquirenti. L’indagine è finalizzata ad accertare se sia legittima o meno la privazione della libertà personale dei profughi in assenza di provvedimenti della magistratura. Nel caso in cui, come ipotizza la Procura, sia stato commesso un reato, i magistrati, che procedono al momento a carico di ignoti, dovranno individuare i responsabili della violazione risalendo nella catena di comando a chi ha impedito lo sbarco. Da qui l’esigenza di sentire domani a Roma i funzionari del ministero dell’Interno che si sono occupati del caso. Qualificazione giuridica e competenza a indagare sono le questioni più spinose al centro del lavoro dei magistrati. Nei confronti del titolare del Viminale è scattata anche una denuncia in cui si ipotizza il reato di istigazione all’odio razziale (legge Mancino), aggravata dalla posizione di responsabile di una pubblica funzione. A presentarla sono stati alcuni cittadini alla Procura della Repubblica di Treviso. Per i firmatari il reato si sarebbe consumato attraverso una serie di affermazioni pubbliche rese dal ministro – tra giugno e luglio – tra le quali citano: «per gli immigrati clandestini è finita la pacchia, preparatevi a fare le valigie, in maniera educata e tranquilla, ma se ne devono andare».

E sul caso Diciotti si sta consumando anche un braccio di ferro tra il governo italiano e l’Europa.  Il premier Giuseppe Conte ha tirato fuori gli artigli e ha rovesciato il tavolo di Bruxelles che ha lasciato l’Italia – denuncia – sola ad affrontare l’emergenza migranti. Una reazione forte quasi obbligata dal cul de sac in cui i due vicepremier hanno condotto palazzo Chigi. Da un lato la scelta di Salvini di non cedere sulla questione Diciotti e dall’altro quella di Di Maio che ha rilanciato minacciando l’Europa di tagliare il contributo italiano al bilancio. Un fronte compatto che i due vicepremier erano sicuri potesse sortire gli effetti già ottenuti in occasione della precedente emergenza sorta sempre sulla nave della Guardia costiera. C’è chi, tra i componenti dello stesso governo, assicura che una risposta così negativa da parte degli sherpa europei non fosse stata neppure messa in conto da palazzo Chigi: «credo si aspettassero tutti una maggiore apertura». Ma ora il dado è tratto e il governo non può che andare avanti sulla strada di quella che lo stesso vicepremier 5 Stelle chiama «riparazione”: i 20 miliardi di contributo italiano che il «capo politico» M5s non vuole pagare e che per il ministro degli esteri Enzo Moavero sono invece intoccabili. «Vedremo di pagare l’Europa un pò di meno» è il compromesso che trova Salvini che plaude invece al sostegno ricevuto dal premier e dall’altro vicepremier nei confronti di una «Europa che non vuole capire».

La maggioranza giallo-verde dà quindi mostra di compattezza anche se la portata di questa crisi che travalica i confini nazionali ad alcuni suona come il campanello di allarme di un tentativo di strappo da parte del leader della Lega nei confronti dello stesso governo. Un modo per avere mani libere alla vigilia di un autunno che si prefigura molto caldo e con il rischio di una tempesta finanziaria che, come hanno avvertito esponenti di spicco del Carroccio, potrebbe minare comunque la tenuta del governo. Un’ipotesi, quella delle sirene leghiste di una crisi di Governo, che potrebbe anche essere tra i motivi della riservatezza del Quirinale che non vuole essere considerato parte in causa di una eventuale rottura istituzionale. Non la pensa però così il Pd che chiede a gran voce l’intervento di Mattarella contro «la scelta disumana del governo». Mentre Martina salta direttamente alle conseguenze e accusa: «Siamo in presenza di un Governo che sembra quasi auspicare» una tempesta dei mercati e che «mette le mani avanti dimostrando in questo modo di non avere gli strumenti per affrontare le conseguenze” delle sue azioni. Questa – ha aggiunto da Ravenna – è benzina sul fuoco. Si devono rendere conto che così facendo stanno contribuendo a generare un clima di preoccupazione intorno all’Italia». Meglio allora che «se ne vada a casa».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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