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L'intervista

“Sant’Agata, una festa gestita con approssimazione”

Riccardo Tomasello, presidente uscente del Comitato dei festeggiamenti agatini: «Lo Statuto non viene applicato e questo è un freno alla crescita dell’evento» 

Di Rossella Jannello |

Per certi aspetti è amareggiato, ma se gli chiedi un bilancio complessivo della sua esperienza, ti risponde con un sorriso che «è stata bellissima». Lui è Riccardo Tomasello, imprenditore e presidente uscente del Comitato per la festa di Sant’Agata che lui ha guidato dal settembre 2019 e ora sarà presieduto da Mariella Gennarino.  Nell’immediatezza della nomina del suo successore, lei ha espresso la sua opinione sui social, parlando di “giornata amara”. Quel momento è passato? «Prevalgono le luci sulle ombre, non c’è dubbio. Guidare il Comitato è stato un bellissimo viaggio, una bellissima avventura. Vede, il nostro è stato, come era desiderio del compianto Luigi Maina, il Comitato del popolo. Abbiamo avuto un contatto diretto con tutti i protagonisti della festa, a partire dai devoti, ascoltando tutti con gioia e facendo tesoro dei consigli ricevuti. E nel periodo terribile del Covid, questo ci ha aiutato anche in termini di solidarietà, di inclusione sociale. Insomma, non c’è stato alcun distacco, nessun gradino fra il Comitato e la città. Se prima questo organismo era considerato altro, con noi è stato un punto di riferimento per tutti. Anche per dare pieno mandato allo Statuto di questo organismo».

Perché, che cosa dice lo Statuto? «Lo Statuto delega sulla carta al Comitato ampia autonomia gestionale, ad esclusione, ovviamente, delle celebrazioni religiose che rimangono in capo alla Chiesa. E ovviamente io non ho mai sconfinato in competenze non mie. Ma quello che è scritto nello Statuto non viene di fatto applicato, trasformando di fatto il Comitato in una specie di organo consultivo, mentre le decisioni vengono prese da altri. Come se fosse un neonato ancora con il cordone ombelicale attaccato alla madre, senza autonomia. Una contraddizione che è venuta fuori specialmente durante la fase acuta della pandemia». E questo che cosa comporta? «Comporta un rallentamento del funzionamento e soprattutto della crescita della festa. Secondo me da questo punto di vista il meccanismo del Comitato andrebbe rivisto. Riducendo anche il numero dei componenti, sette sono decisamente troppi. Ma anche, se necessario, cambiando la sua veste giuridica. Penso a una Fondazione, ad esempio, che permetterebbe  di accedere a nuove risorse, anche europee, senza dipendere esclusivamente dalle finanze comunali. Ma la domanda di fondo resta un'altra». Quale? «La festa si vuole che cresca o che rimanga gestita con l’attuale approssimazione? È una Festa patronale solo un po’ più grande delle altre o è il terzo evento religioso al mondo? Insomma, bisogna chiedersi che futuro si vuole per la Festa di Sant’Agata». Dalle ombre alle luci, che cosa si porterà appresso? «Il ricordo più bello resterà quello della messa dell’aurora. Quando, aperto il sacello, ti trovi davanti il busto reliquiario, è una emozione indescrivibile. Poi ti giri e vedi il popolo dei devoti commosso, silenzioso, in ansia ed è una intensa emozione anche questa. E poi il momento della preghiera delle Benedettine, quell’ultimo tratto della festa dove mi sono mescolato ai portatori e ai devoti, per spingere anche io quel cordone fino al ritorno in Cattedrale. Come dimenticarlo? Anche prima seguivo da devoto la festa, ma questa esperienza mi ha regalato un approccio più partecipativo a quei giorni, mi ha permesso di entrare nella Storia della festa, che è poi parte integrante della Storia della città». 

Si dice che volessero fregiarla del ruolo di presidente emerito, così come è stato per il primo presidente, Francesco Marano, ma che lei abbia rifiutato. Perché? «Perché non desidero titoli emeriti. Perché, se non posso intervenire sulla festa, ridivento un devoto come gli altri. Dietro le quinte, come tutti, senza fotografie in posa.  «Questo non vuol dire ovviamente che, se mi verranno richiesti, non sono disponibile a consigli e suggerimenti, ci mancherebbe, anche per una sorta di continuità programmatica. Ma gli onori non mi interessano». Come è stato il ritorno alla vita di tutti i giorni, al suo lavoro da imprenditore? «Difficile, devo ancora superare il trauma del ritorno. Fin qui, Sant’Agata è stato l’argomento principale della giornata, gli amici mi prendevano anche in giro per questo. Ora le mie risorse dovranno essere dedicate al mio lavoro, che di questo impegno ha certamente sofferto. Ma non ho rimpianti. Con questa esperienza sono diventato un uomo nuovo che ha capito molte cose, di se stesso ma anche di Catania. Per esempio, che nei quartieri dimenticati, fra gli ultimi, Sant’Agata rappresenta l’ultima speranza». 

 
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