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Intervista col nuovo arcivescovo di Catania, mons. Renna da Sant’Agata al Covid con una forza: «La preghiera»

Il senso di inadeguatezza dopo la nomina, i pensieri per la Patrona della città, le ricette per affrontare le emergenze

Di Sonia Distefano |

«Avevo altri progetti: il cammino sinodale nella diocesi, le tante attività con la Chiesa di Cerignola-Ascoli e con le Chiese di Puglia. La notizia della nomina è stata un’interruzione sul sentiero che stavo percorrendo. Questo mi ha sorpreso e ho provato un grande senso di inadeguatezza per la grandezza della responsabilità che un’Arcidiocesi come Catania richiede. Ma assieme a questi umani sentimenti, c’è anche la fiducia nel Signore. Se ci chiama a vivere una responsabilità, certamente ci dà la forza per portarla avanti». 

Così mons. Luigi Renna racconta le sue emozioni dopo aver ricevuto la notizia della sua nuova missione pastorale e, in vista delle prossime festività agatine, che per il secondo anno consecutivo saranno ridimensionate per la pandemia, sottolinea il valore della fede. 

«In questi momenti, anche se mancano dei segni, la nostra fede non deve venir meno. Anzi, ora la nostra fede somiglia di più a quella di Agata, testimone di Gesù Cristo in un tempo difficile. Per Lei c’era la persecuzione; per noi il tempo difficile è la pandemia, e, la fede è luce. Qui a Cerignola abbiamo vissuto la stessa difficoltà per la Madonna di Ripalta, un’antica Icona del XIII secolo molto venerata. Ma la fede non è venuta meno attraverso due forme: la preghiera personale, intima, e la partecipazione all’eucarestia. Gesù dice: “Chiudi la camera e prega il Padre tuo nel segreto, e Lui ti ascolterà”. La partecipazione all’eucarestia possiamo viverla nelle forme idonee, nelle parrocchie. Sant’Agata ci sarà vicina». 

Conosce la festa di Sant’Agata a Catania? 

«Ho visto in foto la presenza del popolo che guarda alla Santa, testimone di Cristo, come punto di riferimento. Quindi mi sono rallegrato. Papa Francesco invita a vedere dietro la religiosità popolare, la spiritualità semplice di chi si affida al Signore. Però mi interrogo e dico: dopo i giorni della festa deve rimanere l’imitazione di questa donna, che ha seguito Gesù Cristo, perché è Lui il fulcro della nostra fede. A questa domanda, per me molto importante, darò risposta vivendo quotidianamente a Catania. Sant’Agata, prima di essere Martire è stata Vergine, cioè la donna che ha vissuto la sua testimonianza di unione a Gesù Cristo quotidianamente. Ed è quello che conta davanti a Dio». 

Ritiene che Agata possa essere un modello ancora attuale? 

«I mezzi di comunicazione sono strumenti. Sta a noi e a chi è del mestiere saper rendere appetibile il messaggio utilizzando il mezzo. I mezzi rendono il messaggio più vicino alla sensibilità della gente. La nostra sfida è quella di rendere attuale e credibile la testimonianza di Sant’Agata, modello per tutti i tempi. Bisogna cominciare dalla famiglia. È una sfida che vivremo insieme, ma credo che tanta strada nell’Arcidiocesi di Catania sia stata percorsa». 

La terra etnea ha vissuto eruzioni e terremoti. Ma in quelle occasioni si portava in processione, con profonda devozione, il Sacro Velo di Sant’Agata fino ai fronti lavici. 

«L’eruzione dell’Etna è una cosa diversa da una pandemia, che proprio nell’assembramento delle persone diventa peggio di una colata lavica, perché non distrugge le case, distrugge le vite. Io stesso ho perso i miei genitori per il Covid. Mentre ricordiamo queste pagine molto belle della forza della fede e dell’invocazione di fronte ad alcuni pericoli, dobbiamo ricordare delle splendide pagine dei Promessi Sposi: il cardinal Federico quando scoppiò la peste raccomandò ai decurioni di non fare le processioni con le reliquie di San Carlo. I decurioni, per non mettersi contro la folla, permisero la processione e il contagio si decuplicò. Nelle epidemie bisogna mantenere una distanza fisica, non sociale; bisogna contingentarsi, non essere distanti. Bisogna credere anche nella scienza. I no-vax credono di fare qualcosa di bello ma mancano di carità e sono lontanissimi anche da quello che la Chiesa dice. Papa Francesco ha assicurato che non c’è nessun pericolo morale nell’assumere il vaccino. Il pericolo morale maggiore è quello di un egoismo che non fa dialogare né con la fede, né con la Chiesa che indica una strada, né tanto meno con la scienza, senza la quale tanto male non sarebbe stato debellato nel mondo. Ecco, questa non è vera fede, ma è fideismo e tutti gli “ismi” sono una corruzione di ciò che è autentico». 

La pandemia ha allargato la fascia della povertà. Quale deve essere l’impegno di tutti? 

«Bisogna muoversi in tre direzioni: la solidarietà che viene dalla Chiesa. La Caritas ha operato molto bene in tutte le diocesi e credo anche a Catania. Abbiamo avuto degli aiuti dalla Cei per affrontare il momento di difficoltà delle famiglie senza lavoro. La seconda strada è quella del lavoro giusto, onesto, che emerga. La responsabilità degli imprenditori è molto grande. Loro possono essere vessati da quelle forme malavitose che non permettono uno sviluppo, ma devono avere il coraggio di seguire strade nuove, perché il lavoro viene dalla capacità di investire e da una modalità che prende le distanze da tutto ciò che impedisce uno sviluppo trasparente. Chi fa capo alla criminalità organizzata toglie il pane ai propri figli, ai propri fratelli. E infine la politica. Oggi c’è un grande strumento che è il Piano nazionale di ripresa e di resilienza. La politica dovrebbe da una parte favorire i progetti per le opere pubbliche e il privato, dall’altra parte vigilare che nessuno di questi proventi si disperda, tanto meno nei rivoli di ciò che è illecito. Quindi non basta la solidarietà. La Chiesa fa la sua parte, ma il cristiano, impegnato come imprenditore e come politico, ha una parte ancora più consistente nella ricostruzione della città. Il Papa dice che bisogna essere “architetti”, capaci di costruire “strutture” di bene, non di peccato». 

Un problema del Meridione riguarda la tutela ambientale. Catania combatte ancora contro i rifiuti. 

«Il problema dei rifiuti c’è anche nella mia Cerignola. È una sfida che si sta affrontando. La raccolta differenziata è un modello di equilibrio con il creato. Lo si ha in certe zone di Italia, come in Trentino, perché non lo si può avere anche in Sicilia? Non siamo da meno. Ci vuole un maggiore senso di responsabilità. Si vive tutti meglio se si comincia dalla propria cucina a fare la raccolta differenziata. Da una parte servono controlli severi, che danno dei risultati, ma ci vuole un grande senso di educazione. L’ambiente è la condizione per una vita sana che guarda a prospettive di sviluppo». 

A conclusione, mons. Renna ha rivolto un pensiero a quanti sono rinchiusi in carcere o negli ospedali. 

«Entro in punta dei piedi perché in questo momento il mio fratello, mons. Salvatore Gristina, sta svolgendo appieno il suo ministero. Ma voglio dire ai carcerati e agli ammalati che sono già nella mia preghiera e si rendano conto che un letto di ospedale, le sbarre di un carcere, i cancelli di una realtà che ci separa dagli altri, non sono delle barriere così grandi che non fanno passare l’umanità e i sogni per il futuro. Proprio quando si è più reclusi bisogna coltivare dei sogni e non vedere l’ora di poterli realizzare. Continuate a sognare. Le barriere non sono mai così spesse dall’impedire di fare il bene e di realizzarlo. Accompagno e prometto la mia preghiera per tutti quanti voi. Voi pregate perché il nostro cammino non incontri l’egoismo. È importante camminare insieme. Benedico Catania e soprattutto pregherò per quel bimbo appena nato in terapia intensiva. Grazie a tutti i giornalisti. Anche la vostra è una missione. Sono stato battezzato il giorno di San Francesco di Sales, Patrono dei giornalisti, che, non potendo annunciare il Vangelo, cominciò a scrivere. È importante comunicare ma i mezzi hanno bisogno della sostanza della nostra umanità».  COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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