Odevaine, un pesce negli acquari di Viminale e Prefetture

Di Mario Barresi / 06 Gennaio 2017

Catania – Chi l’avrebbe mai potuto pensare? Una carriera da insospettabile, quella di Luca Odevaine. Vicecapo di gabinetto dell’ex sindaco Veltroni, poi del commissario Morcone, ex capo della polizia provinciale di Roma con Zingaretti fino al salto al Tavolo per i rifugiati del Viminale. Sia per il ruolo, sia per il suo modo di fare, l’indagato è di casa fra prefetti e prefetture. Nelle carte dell’inchiesta, Odevaine si vanta con i magistrati delle sue conoscenze di uomini (e donne) di Stato.


Una “curiosità” dei pm riguarda l’ex prefetto di Catania, Francesca Cannizzo, poi andata a Palermo (dove è fra gli indagati per concussione nel “caso Saguto”), oggi infine destinata ad altro incarico al Viminale. Che rapporto c’è fra il prefetto e il sottosegretario di Ncd? A domanda, Odevaine risponde. Così: «Tra loro c’è un buon rapporto e si sentivano spesso. Quando la Cannizzo venne trasferita, Menolascina (Salvatore, capo di “La Cascina, indagato, ndr) mi disse che Castiglione gli aveva riferito che il nuovo prefetto era una persona di sua fiducia in quanto l’aveva segnalata lui al Ministro Alfano e che non avrebbe creato problemi per la firma della convenzione che doveva avvenire a breve». E poi un’idea di Odevaine: «Ovviamente – dice ai pm – Castiglione ed Alfano avevano interesse alla nomina di un prefetto di fiducia al fine di non ostacolare la continuità della gestione del Cara di Mineo da parte della stessa cordata di imprese». A Catania, nell’estate 2013, arriva Maria Guia Federico, il nuovo prefetto che però «si mostrò piuttosto rigido». Tant’è che «quando vedemmo che non era così accondiscendente rappresentammo questa situazione a Castiglione». E lui, rammenta, «mi disse che avrebbe chiamato il prefetto, ma non so se poi lo ha fatto». Ma il prefetto «firmò la convenzione senza sollevare questioni ed affidando al Consorzio la gestione». Odevaine rivela un retroscena: «Il Prefetto mi disse in “camera caritatis” che il Ministero gli aveva imposto di firmare la convenzione e credo, in ragione della struttura del dicastero, che possa essere stata il Prefetto Scotto Lavina (Rosetta, ndr)». Un episodio fondato soltanto sulle parole di un indagato per corruzione.


Il nome di Scotto Lavina ricorre anche nel racconto di Odevaine sull’ingresso della Pizzarotti nell’Ati che poi si aggiudicò l’appalto del 2014. La scelta sulla procedura da seguire spettava al Viminale «nelle persone del prefetto Pria e del prefetto Scotto». Quest’ultima, «in un momento di assenza dal servizio della dottoressa Pria», scrisse «una lettera all’allora prefetto di Catania dicendogli che doveva indire una gara nella quale bisognava individuare un soggetto in grado di erogare i servizi all’interno del Cara e fosse già in possesso di una struttura». Cioè: l’Ati con la Pizzarotti, proprietaria del “Residence degli Aranci”. «Questa iniziativa – dice Odevaine – non piacque alla dottoressa Pria che riteneva che questa procedura non fosse corretta. Tant’è che l’allora prefetto di Catania chiese un parere all’avvocatura che di fatto disse che bisognava bandire due gare».


E infine il prefetto Mario Morcone, responsabile del Dipartimento Immigrazione del Viminale. Odevaine lo cita decine di volte, sempre con rispetto. E a lui che si rivolge anche per ottenere una “promozione”. Visto che il Cara di Mineo era diventato un luogo pieno di opportunità di lavoro per tutti, l’anima nera di Mafia Capitale pensa anche a se stesso. Da “semplice” consulente, vuole fare carriera. E rammenta «un incontro avvenuto fra me, Castiglione e Melolascina presso il bar Ciampini di Roma». Il “Facilitatore” consegna al deputato di Ncd «un appunto contenente lo schema di un organigramma del Consorzio nel quale erano formalmente previste le figure direttive mie e di Ferrera». Castiglione «prese questo appunto dicendomi che ne avrebbe parlato con la Aloisi, tuttavia la mia richiesta non ha avuto alcun seguito». A questo punto Odevaine si rivolge a Morcone. Al quale rappresenta «la necessità di avere ufficialmente un ruolo direttivo in seno al Consorzio», anche perché «i sindaci stavano diventando sempre più rissosi». Il prefetto «comprese e condivise questa mia necessità», però, ricorda l’indagato, «mi disse che non avrebbe fatto una assegnazione diretta ma avrebbe predisposto un bando per la nomina di una figura direttiva in seno al Cara». Morcone, precisa infine, «non fece un provvedimento su misura per me».
Ma lui continua a chiamarlo e a cercarlo, provando a indirizzargli anche sindaci e coop. Non emergono riscontri sulle istanze presentate tramite Odevaine all’alto burocrate del Viminale. Ma c’è sempre una certa confidenza. «Lo conosco da tempo e con lui abbiamo realizzato diversi progetti negli anni e da questa collaborazione, nel tempo, è nata un’amicizia». Oggi, col senno di poi, piuttosto imbarazzante. Per Morcone, s’intende.

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