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Rosario Patanè, fotografo ambulante con macchina a soffietto

Di Pinella Leocata |

Catania – Sembra incredibile al tempo del digitale, dei selfie e degli smartphone, eppure Rosario Patanè, 37 anni, di mestiere fa il “fotografo ambulante”. E lo fa nella maniera e con le attrezzature delle origini, di quel lontano 1836 quando fu inventata la stampa su carta positiva diretta, ovviamente in bianco e nero. Non un hobby, ma un lavoro grazie al quale vive dignitosamente.

Tutto nasce dalla “disperazione”. Rosario Patanè, originario di Acireale, aveva aperto uno studio fotografico a Catania, ma le cose andavano male. Pochi clienti, soprattutto ragazzine che, per il pre-diciottesimo, gli chiedevano di immortalarle in pose osé, semisvestite. E a lui questo non andava, «per rispetto della mia e della loro dignità», ammette. Allora decise di chiudere lo studio e vendere in strada le sue foto di paesaggi, soprattutto quelle dell’Etna, alcune delle quali erano state pubblicate anche su National Geographic. E le cose cominciarono a girare. In tanti le compravano e lui in qualche modo riusciva a sbarcare il lunario. Poi l’idea di fare un ulteriore passo avanti, o meglio indietro. Acquista una fotocamera a soffietto russa di grande formato, con la quale si possono fare foto di 3 misure, e una piccola camera oscura mobile nella quale opera, attraverso un telo nero, inserendovi solo le braccia. Un’apparecchiatura affascinante, che incuriosisce. In tanti, infatti, si fermano e domandano informazioni e non manca mai chi decide di farsi scattare una bella foto in bianco e nero. Anche perché Rosario Patanè sa essere convincente spiegando i vantaggi di una foto d’altri tempi. E lo fa – come è capitato nel fine settimana scorso in piazza Università – anche in inglese, per farsi capire dai tanti turisti catturati da questa stranezza.

Il fotografo spiega che, per quanto ne sappia, lui è l’unico ad utilizzare ancora questo sistema. In Spagna, infatti, ci sono dei fotografi ambulanti, ma usano macchinari e metodi del primo Novecento per cui lavorano in negativo e, a partire da questo, fotografando di nuovo, arrivano al positivo. Lui, invece, usa il metodo più antico, cioè lavora su carta positiva diretta. Inserisce il foglio di carta in un piccolo telaio, lo chassis, e lo ferma abbassando una tendina, il volet. Scatta la foto, leva lo chassis dalla fotocamera a soffietto e lo porta nella camera oscura dove, al buio, alza il volet per liberare il foglio e procede allo sviluppo. Dapprima immerge la carta nel bagno di sviluppo che, con un processo di ossidazione, converte l’immagine latente, fino a quel momento fermata con i sali d’argento. Poi si passa al bagno nell’acido citrico, per bloccare il processo, e infine al fissaggio. La foto è pronta. Può essere tirata fuori dalla camera oscura e passare al lavaggio.

«La sua bellezza – spiega Patanè – è data dal fatto che è un pezzo unico e che ferma un momento irripetibile. Un’immagine che ha un valore artistico e che sfida i secoli. Le foto digitali, al contrario, sono stampate con inchiostri su carta politerata, cioè plastificata, e la plastica è un acido che si distrugge nel tempo. Una foto digitale dura poco più di vent’anni. Invece la carta di queste foto è in fibra di cotone con uno strato di barite, un collante, e questo supporto rende le immagini molto resistenti. Si stima che possano durare 500 anni. Non a caso queste carte sono nate nell’ottica dell’archiviazione». Un racconto che cattura e che convince. Così il “fotografo ambulante”, che da qualche anno vive a Palermo, visto il successo della sua attività, ha deciso di estendere il proprio raggio di azione oltre la Sicilia e oltre l’Italia. E i fotografati – soprattutto coppie di innamorati emozionati e turisti di passaggio, sentitamente ringraziano.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA