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Il caso
Yuliya e gli orfani ucraini, chi è la “tutrice” finita sotto inchiesta a Catania
La Procura etnea contesta diversi reati tra cui l'estorsione. Effettuate perquisizioni dalla polizia postale
Laureata in giurisprudenza a Leopoli, insegnante, presidente della comunità ucraina in Sicilia, presidente dell’associazione italo-ucraina “I nuovi confini”, tutrice curatrice e affidataria. A Yuliya Dynnichenko i titoli non mancano. Almeno a suo dire. E adesso nemmeno quelli dei giornali visto che oggi è indagata per violenza privata, minacce aggravate, estorsione e tentata estorsione. Almeno a dire della Procura di Catania. La polizia postale di Catania ha eseguito delle perquisizioni nell’ambito dell’inchiesta avviata dalla Procura sul rimpatrio in Ucraina, contro la loro volontà, di minorenni affidati a famiglie siciliane nel marzo del 2022.
Il decreto, emesso dal procuratore aggiunto Sebastiano Ardita e dal sostituto Francesco Camerano, considera le accuse aggravate dal fatto di essere stati commessi in danno di minorenni orfani e con abuso dei poteri connessi alla funzione di tutrice. Funzione che, a onor del vero, era stata disconosciuta dal Tribunale dei minorenni etneo (che aveva nominato i tutori come previsto dalla legge Zampa) ma avallata da una sentenza, la n. 18957/22, della Corte di Cassazione. Che riconosce la nomina di tutrice, conferitale dal console dell’Ucraina a Napoli Maksym Kovanenko, e costringe il Tribunale dei minori catanese, lo scorso 20 luglio, a revocare l’incarico ai tutori volontari innescando provvedimenti a cascata su tutto il territorio nazionale dove sono comparsi “tutori ucraini” come funghi.
La sentenza innesca un acceso dibattito sulla condizione dei piccoli orfani, scappati in massa dall’Ucraina per essere salvati dalle bombe e dalla deportazione russa, accolti in Italia, dove, secondo accordi internazionali, sarebbero dovuti rimanere fino alla cessazione della legge marziale. Tranne nei casi in cui sono i minori a chiedere di tornare a casa. La domanda è: gli orfani sono accompagnati o non accompagnati? La risposta, che finora latita, è fondamentale ai fini della gestione dell’accoglienza e del rimpatrio. In realtà tutore legale degli orfani, naturali o di Stato, è l’Ucraina. Che affida all’Italia il compito di proteggere i suoi figli. E tutto fila. Sulla carta. Perché il console e la tutrice Dynnichenko, peraltro legati da una consolidata amicizia e da frequentazioni costanti, si vedono sfuggire la proprietà degli orfani e avviano una battaglia legale che vincono in Cassazione. Da quel momento, ritengono di poter disporre dei minori come meglio ritengono.
E cominciano le procedure di “rimpatrio volontario”. Volontario si fa per dire. I bambini, fragili per età e condizione, sono creta per mani esperte come quelle di Yuliya Dynnichenko (dal 2008 porta e riporta bambini in Italia). E se qualcuno alza la testa o si dispera, basta alzare la voce e ricordare loro da dove vengono e dove comunque prima o poi devono tornare per ottenere la firma necessaria al rimpatrio. Certo, l’iter prevede l’assistenza psicologica e una destinazione adeguata alle esigenze dei bambini. Dettagli. Soldati nati, i piccoli devono solo obbedire agli ordini. Quello che nessuno sembra avere previsto è il fattore umano. Un anello imprevisto che rompe la catena.
Gli affidatari non capiscono perché riportare i bimbi, che chiedono di non essere mandati via, in Ucraina in piena guerra. «Si sono affezionati» dice ironicamente Yuliya Dynnichenko che definisce la legge italiana «carta straccia», i giornalisti «incompetenti», gli italiani «incapaci di un’adeguata accoglienza sociale» e gli affidatari «ladri di bambini» al punto da minacciare denunce per sottrazione di minori a quanti si opporranno al rimpatrio.
«Lei sa che a Catania c’è la base di Sigonella? Bene, i bambini sono più al sicuro in Ucraina che a Catania». E a conclusione di una telefonata decisamente poco amichevole, intima: «Non si permetta di scrivere nemmeno le mie iniziali». E’ il 2 agosto e dal giorno successivo “La Sicilia” conduce un’inchiesta che quotidianamente spiega cosa e perché sta succedendo nella gestione degli orfani che in Ucraina sono un vero e proprio pilastro dell’economia. Al punto da catalogarli online nel sito ufficiale di adozioni e affidamenti familiari del ministero delle Politiche sociali ucraino: tutti schedati con dati personali in una fascia di età che va da 1 a 17 anni, corredati da foto. Tendine apposite consentono agli “acquirenti” di scegliere il figlio che vorrebbero. Un giro di migliaia di euro che se abbinato alle madri surrogate raggiunge cifre da capogiro considerato che le mamme degli orfani in Ucraina sono sempre incinta.
E gli “internat”, così si chiamano gli oltre 660 orfanotrofi ucraini, sempre affollati. E molti dei 250 orfani arrivati in Sicilia, sono schedati. Le famiglie inorridiscono. E davanti alla reazione della tutrice Dynnichenko, a casa della quale fino a un mese fa erano “ospitati” cinque orfani, si rivolgono agli avvocati Ilaria Spoto Puleo e Luca Pedullà. Che a Catania rimbalzano da un Tribunale all’altro per affermare il principio del “the best interest” dei minori. E mentre console e tutrice riempiono i pullman di lacrime e bambini con i volti disperati nascosti dietro palloncini colorati, la Procura apre un fascicolo, ascolta le famiglie affidatarie, i bambini e indaga sulle cosiddette “donazioni”. Si chiamano così gli oboli (da 750 euro in su) che le famiglie versano per aiutare quei piccoli che hanno imparato a curare, amare e accudire.
E poi pagano ancora perché in internat non gli manchi nulla, pagano per avere una loro foto e pagano ancora per poterli riabbracciare magari a Natale o a Pasqua.«Mi hanno chiesto fino a duemila euro per una foto della bambina che ho tenuto in affido» racconta una signora che è riuscita a sganciarsi a fatica e con il portafogli svuotato dal vorticoso business del cuore, un mercato che risponde all’offerta infinita di genitori che chiedono figli e viceversa. Adesso la parola passa alla giustizia.