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Covid, «il modello di assistenza non funziona più»: l’allarme (e le proposte) degli esperti catanesi

L'alta contagiosità di Omicron rischia di mandare in tilt gli ospedali. Gli infettivologi Bruno Cacopardo e Carmelo Iacobello lanciano un appello alle autorità sanitarie affinché cambi l'approccio alle cure 

Di Giuseppe Bonaccorsi |

Il sistema è saltato. Il modello non funziona più. L'alta contagiosità di Omicron rischia di mettere del  tutto in ginocchio l'assistenza sanitaria nei grandi ospedali. Peggio persino della prima e della seconda ondata. Peggio delle più fosche previsioni perché al momento non ci sono soltanto i non vaccinati che finiscono nelle intensive intasandole. Ma c’è un variegato universo di pazienti che pur essendo Covid asintomatici proprio per questo finiscono nelle corsie infettive non ricevendo la giusta assistenza sanitaria.

La denuncia arriva forte, come un pugno allo stomaco, da due tra i più eminenti esperti della lotta al Covid nella nostra città: Il responsabile dell’Unità di Malattie infettive del Cannizzaro, Carmelo Iacobello e il prof. Bruno Cacopardo, direttore dell’unità di malattie infettive del Garibaldi Nesima che già, alcuni giorni fa, in una nostra intervista aveva detto chiaramente che il modello di lotta al Covid applicato dagli organi sanitari competenti  non è più idoneo a contrastare la nuova ondata composta non solo da non vaccinati con polmoniti, ma anche, in un buon 30%, da pazienti con altre patologie, anche gravi, ma risultati positivi al tampone di ingresso negli ospedali.

Le loro parole, pronunciate  nel corso di una commissione consiliare Sanità, convocata questa mattina d’urgenza dalla presidente Sara Pettinato, sono un atto d’accusa indiretto verso la Regione e verso chi sino a questo momento sul territorio ha gestito l’organizzazione della lotta al Covid, organismi ai quali adesso i due primari chiedono di invertire la rotta. «Mediamente – ha spiegato Cacopardo alla commissione – il 30% dei pazienti che vanno al pronto soccorso o in altri reparti per un intervento chirurgico  non ci vanno per Covid, ma per altre patologie. Ma al momento  del tampone risultano positivi e quindi vengono  trasferiti nei reparti Covid e lì subiscono il problema di non ricevere cure adeguate alla loro patologia.  Sto parlando di soggetti cardiopatici, broncopatici, dei diabeti scompensati, dei fratturati, degli oncologici… Un problema che sta mandando in tilt le strutture sanitarie».  «Qualche giorno fa   – ha aggiunto Cacopardo – avevo detto che questi pazienti necessiterebbero di un approccio multispecialistico presso strutture di riferimento che possano ospitarli, oppure, questa sarebbe una idea, ogni reparto dovrebbe prevedere  una zona di isolamento separata nella quale questi malati  risultati Covid possano essere gestiti in sicurezza».

Ben più forte lo scenario sulla situazione negli ospedali  tracciato  dal primario Iacobello: «In questo momento abbiamo il problema di gestire pazienti positivi, ma affetti da altre patologie, anche gravi, in un contesto infettivologico. E certamente la cosa peggiore che finora è stata fatta è stata quella di trasferite un paziente di questo genere in Malattie infettive, non avendo alcuna patologia Covid correlata. Questo ha portato, nel mio reparto, ad avere  un 30% d soggetti “Covid, ma non Covid” – come li chiamo io – ricoverati con problematiche piuttosto gravi. Molti sono anziani fratturati, altri post chirurgici, altri leucemici. E si trovano tutti in un reparto non appropriato per la loro cura, perché non abbiamo specialisti,  ematologi, ortopedici, cardiologi…».

«Il secondo problema – ha proseguito Iacobello –  che va subito corretto è che dal momento che abbiamo riempito i reparti con pazienti di questo genere il pronto soccorso ha cominciato ad avere una enorme sofferenza perché in quel reparto stazionano e non hanno posto i soggetti Covid  con polmoniti anche gravi, che , ovviamente  in un contesto come quello del pronto soccorso, che è solo emergenziale, non hanno un supporto adeguato che può effettuarsi in un reparto Covid. E così cosa accade? Che questi soggetti rischiano di aggravarsi col risultato di andare ad intasare le rianimazioni».

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