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Acireale, il racconto di Jessica: «Io e quel mio amore perso per strada»

Angela Seminara

01 Novembre 2018, 16:27

Acireale, il racconto di Jessica: «Io e quel mio amore perso per strada»

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ACIREALE - È un gesto di grande coraggio ma anche una richiesta di aiuto quello che traspare dalle parole di Jessica Caradonna, la venticinquenne che mercoledì scorso è andata via di casa volontariamente portando con sé i suoi tre bambini e per la quale il compagno Davide Raciti aveva lanciato un accorato appello affinché la giovane venisse ritrovata. La verità che in seguito invece è emersa, grazie anche alle dichiarazioni dei carabinieri e della polizia di Acireale, è una molto diversa, fatta di violenza, di incomprensioni, di maltrattamenti reiterati che Jessica ha subito in silenzio per nove lunghi anni. Lo ha fatto per salvare la famiglia, per non privare della figura del padre tre bambini ancora piccolissimi e concepiti uno dietro l’altro, insomma lo ha fatto per amore, quel sentimento che provano le donne, quando amano un uomo e ancor più i figli che da quell'amore sono nati; lo ha fatto in nome di un sentimento che prima di tutto merita rispetto. Se un uomo ti rispetta, se non ti oltraggia, se non fa valere la sua forza fisica nei confronti della sua donna, non ti riempie di botte mandandoti all'ospedale....

Davide Raciti la sera della lite non si è limitato a dare a Jessica solo uno schiaffo come ha raccontato, forse non si aspettava nemmeno che lei lo denunciasse, Lei invece aveva detto basta. «Davide non mi ha dato solo uno schiaffo, è andato ben oltre, tant'è che sono dovuta andare in ospedale e ai medici ho raccontato la verità, a parlare sono i referti dei dottori e una prognosi di circa dieci giorni - racconta Jessica -. Avevo sedici anni quando ho conosciuto Davide, ero innamorata di lui, ma non mi aspettavo che fosse cosi, sognavo come tutte le donne innamorate una famiglia e una vita serena. Oggi sono ancora più arrabbiata perché non volevo tutta questa pubblicità, mi vergogno profondamente di vedere la mia vita sbattuta su facebook, con la mia foto che ha fatto il giro dei gruppi nel social, perché è la mia vita privata e deve rimanere tale. Avremmo discusso in privato, non c’era bisogno che tutto il mondo sapesse i fatti i miei».

Il danno e la beffa per una storia apparentemente come tante, di quelle che balzano nelle cronache e mettono alla gogna mediatica della rete volti e sentimenti, violenze familiari più o meno gravi che si condividono per solidarietà in un click e che in un click vengono dimenticate tralasciando che ogni storia è una storia a sé, anche se ad essere coinvolta è una donna tra le tante donne. Tutti i dati empirici confermano che, per una donna, il rischio di subire violenza da parte di un membro della famiglia è mediamente molto più elevato rispetto a quello di essere aggredita per strada da uno sconosciuto e si può ritenere che episodi di violenza fisica di una certa serietà si verifichino, almeno una volta, nel 30% di tutti i nuclei familiari.

C’è un momento però, in cui pur se umiliata e ferita, una donna raccoglie tutto il suo coraggio e la sua dignità e denuncia come ha fatto Jessica perché l’amor proprio viene fuori con tutta la sua forza e si aggrappa all’aiuto che le viene offerto a tutela della sua incolumità, cercando di proteggere soprattutto i bambini.

«Sono orgogliosa di quello che ho fatto e anche se sono confusa e non ho molta voglia di parlare, andrò avanti per la strada che ho intrapreso, confidando nell'aiuto della mia famiglia e di tutti i servizi che posso avere a disposizione e che mi sostengono. Non voglio tornare con Davide, vorrei che andassimo ognuno per la nostra strada, chiudendo questa vicenda civilmente e tutelando soprattutto i miei bambini».

Ricordiamo che sono due bambine di 2 e 6 anni e un maschietto di 4, che cercano il papà, la loro casa e i loro giochi. È determinata Jessica ma è anche tanto confusa (al momento sotto protezione della polizia) ma la sua richiesta di aiuto è palese, un aiuto che non può esaurirsi con l’invio della denuncia in Procura e con i tempi della giustizia, ma necessita di tutti i supporti necessari, tutte le figure preposte che possono fare quadrato intorno a lei per proteggerla ed aiutarla, considerata anche la giovane età. Anche Davide ha bisogno di aiuto oltre al sostegno e alla tutela che si deve garantire alla donna abusata o che semplicemente vive un disagio psicologico. Oggi è necessario il coinvolgimento dell’uomo non solo di chi può fare da supporto, (il medico, l’avvocato) o semplicemente colui che non ha difficoltà a confrontarsi con una donna, ma anche attraverso l’ascolto del soggetto maltrattante.

Un argomento che in tema di prevenzione contro la violenza emerge chiaramente e che rappresenta un anello fondamentale della catena per contrastarla. Esistono centri d’ascolto a sostegno e cura per uomini che sono stati egli stessi autori di violenza e che vogliono risolvere un disagio, oppure dietro segnalazione dei servizi e enti istituzionali, o nei casi più gravi direttamente dal Tribunale di Sorveglianza quando l’uomo è sottoposto a misure restrittive.