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Biancavilla, delitto di Valentina Salamone

Biancavilla, delitto di Valentina Salamone Trovato altro Dna: è del secondo assassino?

C’è un profilo genetico diverso da quello di Nicola Mancuso

Di Agnese Virgillito |

La corda (l’arma del delitto), i vestiti e le scarpe, indossati dalla vittima. Potrebbe essere in questi reperti – sequestrati dalla Procura Generale ed analizzati dai carabinieri del Ris di Messina – la chiave per arrivare agli assassini di Valentina Salamone, la ragazza di Biancavilla trovata morta impiccata (ma il suicidio è stato inscenato dagli assassini), il 24 luglio 2010 in un casolare di via Madonna delle Salette alla periferia di Adrano. Se – alla vigilia della scadenza dei termini (prevista per domani secondo la data fissata dal gip Francesca Cercone) – i familiari della diciannovenne biancavillese si dicono ottimisti per le indagini svolte dopo l’avocazione da parte della procura generale, dal Palazzo di Giustizia potrebbe arrivare un nuovo colpo di scena. Sembrerebbe che sia stato individuato un profilo genetico completo diverso da quello di Nicola Mancuso, il trentaduenne adranita, ritenuto dai magistrati della Procura generale autore dell’omicidio “in concorso con un’altra persona non ancora identificata”. Finora sono state rinvenute tracce di materiale cellulare da cui è stato estratto il dna riconducibile ad una persona di sesso maschile: un uomo che potrebbe essere il “presunto” complice dell’assassino. Potrebbe trattarsi di sangue, rilevato nei reperti sottoposti alle ultime analisi: la corda, quel lungo e largo laccio con un nodo (cosiddetto “gassa d’amante”) adoperato per inscenare l’impiccagione di Valentina alla pensilina della veranda; i vestiti (jeans e t-shirt), che indossava la ragazza la notte in cui venne uccisa; le scarpe (con la zeppa nera in sughero) che calzava. E’ proprio in quei sandali che i carabinieri del Ris di Messina, già in una prima fase, hanno rinvenuto tracce ematiche miste riconducibili alla ragazza e a Nicola Mancuso. Per questo l’uomo, con il quale la diciannovenne negli ultimi mesi di vita aveva allacciato una relazione sentimentale, era stato arrestato nel 2013 e rimesso in libertà dopo sette mesi. Da oltre un anno si trova nel carcere di Bicocca dove si trova anche per traffico di sostanze stupefacenti, reato per cui è stato condannato a diciotto anni di reclusione. Intanto, è sangue umano quello rinvenuto nel sopralluogo dello scorso 31 marzo dai Ris sulle mattonelle (sei i reperti in tutto) del pavimento della veranda nel casolare, che – poco prima – secondo la ricostruzione del pg – aveva ospitato una festa tra “amici”. Mattonelle che non si trovavano in corrispondenza del cadavere di Valentina. A chi appartiene allora quel sangue sul pavimento? A qualcuno nel gruppo degli “amici” che quella notte d’estate del 2010 si ritrovarono nel casolare? Risposte che potrebbero arrivare dalle conclusioni della perizia, depositata dai due consulenti del pm, i biologi Carlo Romano e Salvatore Spitaleri del Ris; pagine che racchiudono un lavoro di sei mesi in laboratorio. Entro il 7 giugno i magistrati (il sostituto procuratore generale Sabrina Gambino, cui è affidato il caso con il coordinamento del procuratore generale Salvatore Scalia) potranno formulare la richiesta di archiviazione del caso o – come si aspettano i familiari di Valentina – chiudere le indagini e chiedere qualche provvedimento restrittivo, in particolare le manette per Nicola Mancuso che (assieme al suo complice al momento senza nome) risponderebbe di concorso in omicidio volontario con l’aggravante dei motivi abietti e futili.

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