Caselli e le scarcerazioni dei mafiosi «Lo Stato ha dato un brutto segnale»

Di Redazione / 10 Maggio 2020

La vicenda delle scarcerazioni dei boss mafiosi rappresenta «una falla nell’antimafia. Un lusso che lo Stato non si può assolutamente permettere. In ogni caso, un segnale di arretramento e debolezza che la mafia potrebbe cogliere per avviare nuove, “baldanzose” strategie criminali», perché «le mafie vivono anche di segnali, e il rientro di tanti criminali nelle loro sedi di provenienza viene “venduto” come un fatto che consente all’organizzazione di rialzare la testa».

Così, in un’intervista alla Stampa, l’ex procuratore di Palermo Gian Carlo Caselli, secondo cui «il nuovo decreto risponde a un’idea apprezzabile, ma la realizzazione non sarà facile. Ci sono complessi e delicati problemi di rispetto dell’autonomia della magistratura».

«Sono d’accordo con chi le definisce scarcerazioni di massa. Non solo per il numero (quasi 400), ma anche per un certa interpretazione burocratica che è avvenuta: pare non sia stata sempre presa in considerazione la pericolosità del detenuto con particolare riferimento all’ambiente d’origine cui viene restituito», dichiara Caselli.

«Quando si tratta di mafiosi, le implicazioni sulla sicurezza pubblica sono purtroppo di assoluta evidenza. Il loro rientro sul territorio comporta il concreto pericolo che molti possano approfittarne per rientrare in un modo o nell’altro – rafforzandolo – nel giro delle attività criminali tipiche della mafia».

Se è vero che hanno deciso i giudici, «un ruolo importante sembra aver avuto anche la circolare Dap del 21 marzo che richiedeva a tutte le carceri un elenco dei detenuti sofferenti di certe patologie. Per difetti di comunicazione sulle sue precise finalità – spiega Caselli – è stata interpretata come predisposizione di una specie di lista d’attesa di scarcerandi. Di qui una corsa alle domande e alle scarcerazioni che sono diventate una slavina». 

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