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Cassarà, dopo 40 anni mancano pezzi di verità. La sorella: «Ninni fu lasciato solo a morire»

«C'è questa zona grigia nella quale è avvolta la nostra borghesia e coinvolge tante persone. Sarebbe bene squarciare questi veli grigi e fare sì che la verità, anche quella che non è venuta a galla, venga fuori»

Laura Distefano

05 Agosto 2025, 13:30

sorella ninni cassarà intervista

Sono trascorsi 40 anni dall’omicidio di Ninni Cassarà. Morì tra le braccia della moglie Laura Iacovoni. Erano quasi le 19,30 del 6 agosto 1985. Il poliziotto non ebbe nemmeno il tempo di scendere dall’Alfetta blindata per arrivare al portone di casa che un commando armato di kalashnikov fece fuoco, uccidendolo. Laura era affacciata al balcone con in braccio la figlia più piccola, gli altri due bimbi erano in vacanza con i nonni. Guardò correre Ninni verso l’ingresso del palazzo di via Croce Rossa mentre sentiva le terribili esplosioni. Affidò la bambina a un vicino e si precipitò giù dalle scale. Lo trovò disteso sui gradini. Cadavere. Nell’agguato perse la vita anche il collega Roberto Antiochia, che rientrò dalle ferie per proteggere Cassarà. Perché dopo l’omicidio di Beppe Montana, a Porticciolo una manciata di giorni prima, tutti sapevano che Cosa nostra voleva la testa di Ninni Cassarà. Un poliziotto che fece la differenza nel contrasto a Cosa Nostra. Un investigatore che avrebbe fatto la differenza nella lotta alla mafia se fosse rimasto in vita. Collaborò all’inchiesta “Pizza Connection”. Istruì il dossier Michele Greco+160. Aveva fiuto, intelligenza e abnegazione. Fu a stretto contatto con Paolo Borsellino, che sentì per tutta la vita il peso di quella scomparsa.

Ad ammazzare Cassarà, infatti, non furono solo i killer inviati dai corleonesi. Ci sono delle responsabilità istituzionali che sono state sepolte assieme al corpo del vicequestore aggiunto della squadra mobile di Palermo. Quando Cassarà testimoniò nel processo sull’omicidio di Rocco Chinnici, il padre lo sentì in tv. Ebbe paura per il figlio. Lo chiamò al telefono e gli disse di andare via da Palermo. La sorella del poliziotto ammazzato, Rosalba Cassarà, ricorda perfettamente la risposta di suo fratello: «Ninni disse: se me ne vado io che conosco bene la nostra città chi potrà fare al mio posto qualcosa per migliorarla».

Il dolore della perdita nel cuore dei familiari è ancora forte e intenso. Non sono bastati 40 anni per fare cicatrizzare le ferite. Rosalba Cassarà ha deciso di trasformare la sofferenza in impegno e memoria. Ma anche per lei ci sono delle verità che andrebbero scoperte e consegnate all’opinione pubblica. «Dopo la morte di Montana - racconta la professoressa - mia cognata era preoccupatissima. Quello è stato uno dei momenti più atroci per mio fratello. Se i miei ricordi non mi ingannano ci fu l’ipotesi di un trasferimento per Ninni a Genova, ma il ministero disse no. Ninni è stato lasciato solo a morire - denuncia Rosalba Cassarà - protetto solo da un giovane di 23 anni, Roberto Antiochia, che accortosi del grande pericolo nel quale viveva il suo capo, rinunciò alle ferie e venne nel tentativo tenerissimo di proteggere proprio lui. Ma drammaticamente tutti e due furono uccisi sotto i colpi di Kalashnikov».

Cassarà capì tutto il 28 luglio 1985. La data è quella dell’omicidio di Beppe Montana a Santa Flavia. «Ci dovevamo essere anche noi quel giorno», ha confessato la vedova del poliziotto in un’intervista rilasciata sei anni fa a Giovanni Bianconi sul CorSera. Cassarà inoltre - come ha raccontato La Repubblica - qualche mese prima affidò al senatore Sergio Flamigni, componente della commissione antimafia, i suoi dubbi sulla capacità (e forse anche la volontà) dello Stato a contrastare la mafia. Il poliziotto rimase a dormire alla squadra mobile per diversi giorni dopo l’uccisione di Beppe Montana. Quella sera chi avvertì i mafiosi che sarebbe andato a casa? È questo l’interrogativo rimasto in gola. Che merita una risposta. «C'erano dei traditori in Questura che poi sono stati condannati», ricorda la professoressa. Ninni Cassarà fu lasciato solo. E come lui molti altri. Tutti morti ammazzati. Giudici, carabinieri, poliziotti. «Anche Falcone e Borsellino sono stati lasciati soli».

Una «scia di solitudine che coinvolge e avvolge drammaticamente questi grandi uomini del nostro passato - dice Rosalba Cassarà - ma che continuano a vivere nei cuori dei siciliani e degli italiani onesti, nel cuore di quei ragazzi sensibili che spesso incontro in alcune scuole a Palermo e fuori Palermo. Perché i giovani hanno un’apertura di cuore e una sensibilità molto forte - argomenta - si dice che oggi i ragazzi siano distratti, ma io devo testimoniare che c’è una fetta di giovani meravigliosi che credono nei valori e che vogliono perpetrarli». Gli stessi giovani a cui si è rivolta la mamma di Ninni, un’altra insegnante. Per 25 anni la signora Cassarà ha parlato nelle scuole di suo figlio e del suo impegno di legalità. Ora Rosalba ha preso il testimone della madre.

La professoressa cita la storia di uno studente universitario dell’hinterland milanese che qualche tempo fa l’ha contattata attraverso internet e le ha raccontato che Ninni Cassarà era diventato il suo punto di riferimento. Qualche giorno fa quello studente è tornato a bussare attraverso i social. «Mi ha scritto che si è laureato in Giurisprudenza ed è pronto a coronare il suo sogno - spiega la professoressa - e che si sta preparando per il concorso per diventare vicecommissario di polizia per seguire le orme di Ninni. Queste sono delle parole che mi danno gioia e speranza e che mi fanno capire che il sacrificio di Ninni non è stato inutile».

Resta però l’amarezza di una verità monca. Le Istituzioni forse dovrebbero fare un passo in più. Non bastano le commemorazioni. Ninni Cassarà merita di ottenere una giustizia piena. «C’è la memoria sicuramente doverosa nei confronti di questi grandi uomini. Ma lasciamo che operino e cerchino di cambiare questa realtà - dice Rosalba Cassarà - che in questo momento appare un po’ grigia come diceva Ninni nel rapporto dei 161. C'è questa zona grigia nella quale è avvolta la nostra borghesia e coinvolge tante persone. Sarebbe bene squarciare questi veli grigi e fare sì che la verità, anche quella che non è venuta a galla, venga a galla anche se a distanza di tempo. Anche se sono stati condannati gli esecutori materiali del delitto si dovrebbe andare molto più a fondo per conoscere ciò che non è particolarmente trasparente».