Notizie Locali


SEZIONI
Catania 21°

Cronaca

Casteldaccia, l’inchiesta della Procura accelera: in arrivo i primi indagati

Di Mario Barresi |

Catania. Il fango s’è indurito, il Milicia-killer è tornato a essere uno sputo d’acqua in mezzo al cemento abusivo. L’esondazione che a Casteldaccia ha ucciso nove persone, adesso, è poco più che un ricordo melmoso. Tanto quanto gli elementi che riemergono dal passato, finendo nell’inchiesta per omicidio colposo e disastro colposo della Procura di Termini. È ormai questione di ore: gli «ignoti» contro i quali il procuratore Ambrogio Cartosio ha aperto il fascicolo avranno presto nomi e cognomi. Anche perché, dovendo effettuare degli atti irripetibili (si parla fra l’altro di perizie idrogeologiche), i pm dovranno iscrivere – forse già oggi, al massimo nelle prossime 24 ore – i primi soggetti nel registro degli indagati.

Ed è facilmente presumibile che in cima alla lista ci saranno amministratori e burocrati del Comune di Casteldaccia. Qui sono in molti – fra distrazioni e ritardi – i potenziali responsabili della mancata demolizione della villetta di contrada Cavallaro. Sulla quale le ruspe potevano – anzi: dovevano – passare già da diversi anni. Dal 2011, secondo la ricostruzione ufficiale del Tar sull’estinzione del ricorso presentato dai proprietari contro l’ordinanza di demolizione del sindaco di Casteldaccia, il quale invece s’era giustificato dicendo di avere le mani legate proprio per la sussistenza del contenzioso. Un «maldestro tentativo dell’amministrazione comunale di scaricare la responsabilità di quanto è accaduto», secondo le durissime parole dei giudici amministrativi.

Ma c’è un secondo atto che pesa come un macigno sulla mancata demolizione dell’immobile. Antonino Pace e Concetta Scurria, i proprietari palermitani della villetta abusiva, infatti sono stati processati e condannati dal giudice monocratico di Termini Imerese, il 29 aprile 2010, a tre mesi di arresto (pena sospesa) e a 23.500 euro di ammenda, per abusivismo edilizio nel 2010. La sentenza, diventata definitiva l’11 febbraio del 2012, in appello (nessuna impugnazione in Cassazione) ordinava anche la demolizione del manufatto irregolare che non è stato mai abbattuto. Le carte processuali sono state acquisite dalla Procura di Termini. L’ordine di demolizione contenuto nella sentenza di condanna riguarda i proprietari dell’immobile irregolare. Qualora i proprietari non siano più in vita, o abbiano nel frattempo venduto l’immobile, l’obbligo di abbattere spetta agli eredi o agli acquirenti. Se chi avrebbe il dovere di demolire non ottempera all’ordine del magistrato devono procedere il sindaco del Comune in cui si trova il manufatto abusivo e il capo dell’ufficio tecnico comunale. In ultimo, in caso di inerzia di tutti gli obbligati, dovrebbe intervenire, al termine di una complessa procedura, la magistratura.

Insomma, la tesi del procuratore Cartosio («L’abusivismo è il principale colpevole di quanto accaduto, l’abusivismo che devasta la nostra terra») si attesta sempre più col passare del tempo e con l’acquisizione di nuovi atti. I magistrati, oltre a un’informativa sulla strage di sabato notte, hanno chiesto a polizia e carabinieri anche una sorta di mappa multitasking dell’intera zona, sottoposta a sequestro, nella quale sarebbero circa una quindicina gli immobili fuorilegge.

Tutt’altro che «abusivismo di necessità», si tratta di villette, prefabbricati e pseudo-baracche sorte nel recente passato. Fino al 2002 nella piana che costeggia il Milicia e arriva verso la foce del fiume, non c’erano costruzioni. La zona è un terreno spoglio o occupato da agrumi. La situazione orografica della contrada Dogali Cavallaro si evince da Google Earth. La casa abusiva dove sono morte nove persone sabato a Casteldaccia non esisteva. Nel 2004 cominciano a notarsi costruzioni abusive ed è dal 2007 che l’abusivismo in zona a lato del Milicia ha avvio. Ed è soltanto nel 2013 che al centro della piana spuntano i prefabbricati. «Quella zona era di pregio», dice all’Ansa l’architetto Aldo Carano, da anni in trincea contro lo scempio del territorio. «Con la tecnologie notiamo che in questa zona l’abusivismo si è sviluppato in tempi recenti. Non è la devastazione degli anni 60 e ’70, o quando è nata l’urbanizzazione selvaggia delle coste e zone con vincoli paesaggistici. Questa – ricostruisce l’urbanista – è degli ultimi anni, dal 2007 in poi in modo massiccio alla coltivazione degli agrumi si è preferito il cemento».

I proprietari della villetta (affittata, da quanto si apprende, senza contratto) avrebbero fatto sapere ai familiari delle vittime di voler essere presenti ai funerali. Ma la risposta è stata negativa. Sui tavoli della Procura è arrivato un altro elemento, ininfluente per la ricostruzione del disastro. Nella camera ardente nella chiesa della Madonna di Lourdes a Palermo, raccontano i presenti, a rendere omaggio alle vittime e superstiti, sarebbero andati anche nomi importanti del gotha mafioso di Palermo. Presenze notate da polizia e carabinieri del servizio d’ordine. Luca Rughoo, sopravvissuto perché poco prima dell’esondazione era uscito con la figlia e la nipote a comprare dei dolci, è parente dell’ex boss Sergio Flamia. La madre, Nunzia, è cugina dell’ex capomafia di Bagheria poi pentito. Raccontano le indagini che sarebbe stato lui a salvare la vita a Luca dopo uno screzio con un uomo d’onore. Rughoo, che aspetta il processo d’appello dopo una condanna a due anni per violenza privata, potrebbe costituirsi parte civile al processo per la morte della moglie e di un figlio.

Ma adesso, al di là dell’humus nella quale s’è consumato il disastro, stanno per arrivare le prime verità sui responsabili. Sarà pure vero – come ha detto a Repubblica Palermo il procuratore Cartosio – che «è più facile far condannare un mafioso all’ergastolo che buttare giù una casa». Ma lì dentro sono morte nove persone. E qualcuno, adesso, dovrà pagare.

Twitter: @MarioBarresiCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


Articoli correlati