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Catania, la scarcerazione del boss: "Espierà la pena ai domiciliari"

Giuseppe Balsamo è stato condannato a 20 anni nel processo Penelope. Dietro la decisione ci sono motivi di salute del detenuto.

Laura Distefano

31 Agosto 2023, 22:30

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Il boss dei Cappello-Bonaccorsi Pippo Balsamo ha lasciato il carcere di Poggioreale ed è tornato nella sua casa a San Giorgio. Il Tribunale di Sorveglianza di Napoli - con un lungo provvedimento - ha accolto l’istanza dell’avvocato Maria Lucia D’Anna e ha concesso il differimento dell’esecuzione della pena ai domiciliari in considerazione del suo quadro clinico. Il 63enne è stato condannato a 20 anni essere ritenuto un uomo di peso della cosca catanese. La sentenza è diventata definitiva a marzo 2022. Facendo bene i calcoli - considerando che l’arresto risale al 17 gennaio 2017 - l’esponente dei Cappello finirà di scontare la pena nel 2037.
Quando scattarono le manette Balsamo era indicato dagli investigatori della Direzione Distrettuale antimafia di Catania il responsabile dei paesi per il clan. Ed era secondo solo a Massimo Salvo, ‘u carruzzeri, anche lui arrestato nello stesso bliz della Squadra Mobile. Che le pm Antonella Barrera e Tiziana Laudani decisero di battezzare Penelope.

Nel decreto di 8 pagine si legge: «Il collegio ritiene che le condizioni cliniche del detenuto presentino un contesto nosografico particolarmente problematico e importanti criticità per la compresenza di gravi patologie che sono suscettibili di determinare un progressivo decadimento fisico che appare ostativo alle opportunità trattamentali e al fine rieducativo dell’esperienza detentiva». Una valutazione che nasce dopo la lettura di diverse perizie medico legali. Il Tribunale quindi «ritiene che sussistono le condizioni per un differimento dell’esecuzione della pena».
I collegio dei giudici della Sorveglianza hanno quindi disposto la scarcerazione di Balsamo, rassicurati anche da una nota della Dda etna. I magistrati catanesi «non hanno evidenziato elementi specifici nè risultanze investigative che all’attualità inducono a ritenere attuale il pericolo di una ripresa dei collegamenti del condannato con l’organizzazione criminale».