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LA LETTERA

Catania, l’amarezza di don Galvano: «Abbiamo fornito le immagini dei ladri, ma il pm archivia»

Il parroco della chiesa “Beato Padre Pio da Pietrelcina” a San Giorgio: «Non pretendo che per furti simili si vada a finire in carcere, ma non è educativo lascia correre»

Di Vittorio Romano |

Lui è uno dei parroci che potremmo definire di frontiera. Dopo anni di esperienza alla guida della Caritas diocesana di Catania, ora ha sulle spalle il peso e la responsabilità che derivano dalla gestione di centinaia di fedeli della parrocchia “Beato Padre Pio da Pietrelcina”, ubicata in uno dei quartieri periferici più “sensibili” della città, San Giorgio.

Padre Galvano ha scritto una lettera accorata e l’ha inviata al nostro giornale, «nella speranza che, coinvolgendo l’opinione pubblica, qualcosa possa cambiare a beneficio della nostra parrocchia e di quanti subiscono furti in questa città». Una città caratterizzata da una deriva sociale e da una ancor scarsa percezione di sicurezza nonostante gli sforzi profusi quotidianamente dalle forze dell’ordine presenti capillarmente sul territorio.

Ma di cosa si tratta? Lo spiega lo stesso don Piero Galvano. «I nostri “fratelli” ladri, nell’arco di alcuni mesi, per la seconda volta hanno rubato le telecamere di sorveglianza della parrocchia e, nonostante io abbia denunciato i furti e consegnato alle forze dell’ordine i video in cui si possono bene identificare i nostri “fratelli”, il pubblico ministero propone di archiviare il “fatto”, eccetto che si faccia opposizione con richiesta motivata di prosecuzione delle indagini preliminari».

Ed è a questo punto che padre Galvano si interroga: «Mi chiedo – prosegue – quale messaggio passa, così facendo. Penso il seguente: “Cari ladri, continuate a rubare! State tranquilli che non riceverete nessuna pena per quello che avete fatto”».

Nessuna sete di vendetta

Ma il parroco della chiesa “Beato Padre Pio da Pietrelcina” non è a caccia di vendetta. E lo motiva: «Non pretendo dalla legge che per furti simili si vada a finire in carcere, ma non è pedagogico, né educativo, che non si intervenga in qualche modo, fosse anche con il provvedimento della “messa alla prova”: percorsi risocializzanti o riparatori di pubblica utilità. Se i genitori permettessero ai propri figli tutto quello che vogliono e, qualora sbagliassero, non intervenissero per niente, questi figli rischierebbero di compiere errori e reati sempre più gravi e i genitori si pentirebbero amaramente dopo per non essere intervenuti tempestivamente.

«Così lo Stato non può e non deve chiudere gli occhi dinanzi a certi “errori”, soprattutto se reiterati, per prevenire ulteriori e più pericolose delinquenze sociali. Speriamo – conclude don Piero – che qualcosa possa cambiare e che siano presi i giusti provvedimenti affinché ciascun cittadino si senta sicuro e protetto dalle Istituzioni preposte». Speriamo.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA