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Catania, operazione Carback: tre giorni di tempo alle vittime dei furti per fare l’accordo

Di Redazione |

L’indagine, denominata “Carback” e coordinata da questa Direzione Distrettuale Antimafia, è stata condotta dal Nucleo Operativo della Compagnia Carabinieri di Catania Fontanarossa da settembre 2020 a marzo 2021 trae origine da una attività di analisi sui furti di autovetture, avvenuti nei precedenti mesi di giugno e luglio, spesso rinvenute dopo qualche giorno in modo apparentemente casuale.

Il primo filone di indagine ha permesso di delineare l’esistenza di una collaudata organizzazione, costituita da 45 persone, dedita alla commissione di furti, estorsioni e ricettazioni, con il coinvolgimento anche di un soggetto gravemente indiziato di appartenere al clan dei “Cursoti Milanesi”. Nel gruppo operavano tre batterie di ladri, responsabili di 54 furti, attive nelle zone di Monte Po’, San Giorgio e San Cristoforo sulla base di taciti accordi che prevedevano una chiara suddivisione del territorio per lo svolgimento “coordinato” delle loro attività delittuose. La batteria di Monte Po’ operava nel quartiere Nesima di Catania e nei paesi etnei, quella di San Giorgio concentrava i propri interessi nella zona di Catania centro, mentre la batteria di San Cristoforo aveva “competenza” esclusiva sui centri commerciali del capoluogo.

Facevano parte dell’organizzazione criminale anche alcuni soggetti con il ruolo di intermediari che venivano contattati dalle vittime, direttamente o per il tramite di conoscenti, affinché si adoperassero per avviare l’iter per la restituzione del mezzo.

L’importo di ciascuna delle 33 estorsioni documentate poteva variare tra 300 e 1.500 euro in base al modello e alle condizioni dell’autovettura, al numero di persone intervenute nell’intermediazione ed al rapporto di conoscenza tra gli indagati e la vittima del furto. I veicoli venivano lasciati in sosta sulla pubblica via, nel pieno rispetto di una regola non scritta in base alla quale ciascuna batteria, prima di disporre del mezzo, attendeva almeno tre giorni per concedere del tempo al proprietario del veicolo rubato di mettersi in contatto con la batteria responsabile del furto ed intavolare l’illecita trattativa. Il cavallo di ritorno rappresentava, infatti, l’obiettivo principale in quanto garantiva all’associazione importi immediati e riduceva significativamente i rischi connessi alla gestione del mezzo (custodia, trasporto e altro); davano anche tempo per rimediare ad eventuali “torti”, qualora l’autovettura asportata fosse appartenuta a personaggi di particolare caratura criminale o persone a loro vicine, provvedendo all’immediata restituzione del mezzo; e davano del tempo per essere certi dell’assenza di eventuali dispositivi GPS nascosti e non individuati durante la “bonifica” del mezzo, scongiurando in tal modo il rischio di essere scoperti dalle Forze di Polizia.

Qualora le estorsioni non fossero andate a buon fine, trascorsi i tre giorni, le autovetture rubate venivano destinate alla ricettazione, anche fuori provincia, per la successiva immissione nel fiorente mercato nero di veicoli e parti di ricambi. E in questa inchiesta che 13 persone sono state denunciate per favoreggiamento personale, avendo fornito alla polizia giudiziaria informazioni false e fuorvianti, aiutando in tal modo gli autori del reato ad eludere le indagini.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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