Catania, travolse e uccise l’amica della moglie: a processo l’omicida dell’Ottava Strada

Di Laura Distefano / 15 Ottobre 2023

Uccise l’amica della moglie colpendola, due volte, con l’Opel Meriva. Cetty De Bormida morì così il 10 giugno scorso all’Ottava Strada della zona industriale. Pietro Nasca innescò la marcia, pigiò l’acceleratore e senza pietà travolse la consorte Anna Longo, che riuscì a salvarsi quasi per miracolo, e l’altra donna, . Tutti e tre erano usciti da una clinica per delle visite psichiatriche. Quando la moglie disse al marito che lei e Cetty sarebbero tornate con un amico si scatenò la belva omicida. «Mi si sono incucchiati i fili», raccontò alla pm Valentina Botti negli uffici della Squadra Mobile. Fu lui stesso a chiamare il 112 dicendo che aveva «ammazzato una donna». Poi ha atteso al bar (bevendo due Biancosarti) i poliziotti. Un quadro accusatorio così chiaro che la pm, rivelando «l’evidenza della prova», ha chiesto e ottenuto dalla gip Marina Rizza il decreto di giudizio immediato nei confronti dell’imputato accusato di omicidio, con l’aggravante dei motivi abbietti, e di tentato omicidio nei confronti della coniuge. La prima udienza è fissata per il 27 novembre davanti alla IV Sezione della Corte d’Assise. Il difensore, l’avvocato Fabio Presenti, dopo aver letto la documentazione medica del suo assistito acquisita nel fascicolo e confrontata con quella in suo possesso valuterà se chiedere una perizia psichiatrica. Il 52enne non ha mai lasciato il carcere di Piazza Lanza dopo la convalida del fermo della giudice. Nell’ordinanza Rizza scrisse che Nasca «sin dall’inizio» non manifestò «alcun segno di rimeditazione critica del suo agito, dimostrando» anzi «superficialità».

Nelle carte del primissimo interrogatorio si ravvisa qualche traccia di «pentimento», ma le parole pronunciate nell’aula di giustizia non convinsero la gip. Anzi si notò tutto il risentimento nei confronti della vittima, considerata colpevole anche dei problemi nella coppia. Nasca «nutriva un forte astio non soltanto nei confronti della moglie – scrisse Rizza – ma anche nei confronti della povera De Bormida, responsabile a suo avviso di aver sobillato la Longo contro di lui, abbia colto l’occasione di una ennesimo scontro con entrambe determinato – come di consueto – dal suo atteggiamento prepotente verosimilmente esasperato dal precedente consumo di sostanze alcoliche per porre in essere il progetto omicida che evidentemente già covava, anche a livello inconscio, e liberarsi sia della consorte il cui rapporto egli ormai viveva con insofferenza, sia della ingombrante vicina».

La moglie finì con il bacino rotto al San Marco. E lì ai poliziotti raccontò cosa accadde. «Montato a bordo dell’auto e con una manovra ci è venuto addosso colpendoci entrambe. lo sono riuscita a restare in piedi benché ferita, mentre l’amica mia è rimasta a terra esanime. Mio marito ha perseverato nelle manovre colpendo ancora l’amica mia mentre io, ferita, ho raggiunto una vicina zona di campagna». Frasi che sicuramente dovrà ripetere nel processo.

Pubblicato da:
Alfredo Zermo