Catania
Corse clandestine, la passione dei boss etnei per i cavalli tra affari e onore
Il cavallo come simbolo ricorrente si trova anche nelle tombe come nel caso dei Ferrera
Non è solo l’elefante l’animale simbolo di Catania. Ma anche il cavallo. Prelibatezza culinaria dello street food, ma anche “status symbol” per molti criminali. E in questa deformazione si è sviluppata la drammatica pratica delle corse clandestine. Un fenomeno illegale che ha legami diretti e indiretti con i clan mafiosi. Basti pensare che i Ferrera, una delle famiglie di “sangue” di Cosa Nostra, sono conosciuti come i “cavadduzzu”. Al cimitero di Catania, la tomba dei Ferrera è rappresentata da un cavaliere in groppa al suo destriero.
Angelo Santapaola, ammazzato nel 2007 per volere del figlio di Nitto, era fissato con i cavalli. Scommetteva. E tanto. Ancora a San Cristoforo c’è il mito del cavallo del boss dal nome “Tempesta”, che arrivava sempre primo alle gare che si disputavano a Palagonia, nel Calatino. Zona che è rimasta tra le più gettonate dagli organizzatori di queste competizioni abusive e pericolose. Così come i tornanti dell’Etna. Se volessimo fare una mappa, le strade che si trasformano in molti weekend (all’alba) in piste di ippodromo sono: la “Sp 92” di Nicolosi, la “Contrada San Marco” di Paternò, la “Zona Piscine” di Camporotondo Etneo, la “Sb 37 Contrada Margia” di Palagonia e la “Sr Mareneve” di Randazzo. Le stalle invece sono soprattutto a San Cristoforo e a Picanello. In questo rione al confine con il borgo marinaro di Ognina ci sono i Piacenti, denominati i Ceusi, che hanno una tradizione ippica di lungo corso. E sono proprietari di scuderie, anche rinomate.
Non è un caso che le corse clandestine sono associate ai reati delle “zoomafie”. Oltre al giro delle scommesse clandestine che serve per accaparrare soldi per le casse delle consorterie, il cavallo rappresenta prestigio mafioso e criminale. Già da piccoli i rampolli delle famiglie hanno il pony personale con il calessino. Che poi da grande diventa lo stallone da lanciare nelle corse. A San Cristoforo – nella strada Ottantapalme – qualche tempo fa c’è stata un’operazione di sequestro a carico del capomafia Turi Amato, sposato con Grazia Santapaola (cugina del padrino Nitto). Cavalli e carrozze c’erano nel tesoretto del boss passato nelle mani dello Stato. In una stalla, sempre di San Cristoforo a Catania, fu arrestato Iano Lo Giudice, sanguinario esponente del clan Cappello-Bonaccorsi da tempo al 41bis per mafia e omicidi.Da qualche anno c’è la moda di rappresentare le scuderie riferibili alle cosche mafiose con le bandiere delle nazioni: quella brasiliana (i campioni di calcio) per i Santapaola-Ercolano, quella degli Stati Uniti (per i Cappello-Carateddi), quella della squadra del Milan (per i Cursoti milanesi). I colori delle bandiere non sono presenti solo sui cavalli, sui calessi o nelle stalle, ma anche sui social per “comunicare” l’appartenenza criminale. Non a caso molti video caricati su TikTok delle corse clandestine sono “griffati” dalle varie bandiere. I social diventano un vero e proprio strumento di propaganda criminale. Le corse clandestine hanno anche un indotto (sempre illecito) collegato che è quello del mercato nero dei farmaci dopanti (importati illegalmente dall’estero) somministrati agli animali prima delle gare per aumentare le prestazioni agonistiche.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA