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L'AGGUATO DEL 1990

Cosa c’è dietro il “cold case“ delle Acciaierie Megara riaperto a Catania dopo 34 anni: il pizzino di Provenzano e la latitanza di Ercolano

Gli inquietanti misteri attorno all'uccisione dei manager della fonderia ucciso alla zona industriale il 31 ottobre 1990.

Di Laura Distefano |

Sessanta giorni di tempo che potrebbero finalmente scrivere una verità processuale sul duplice omicidio di Francesco Vecchio e Alessandro Rovetta. I due manager delle Acciaierie Megara (amministratore delegato il primo e direttore del personale il secondo) furono ammazzati il 31 ottobre 1990. La gip Marina Rizza disponendo l’archiviazione nei confronti degli otto indagati, tra cui il vecchio padrino di Catania Nitto Santapaola, ha ordinato alla procura etnea (l’indagine è affidata al procuratore aggiunto Francesco Puleio) di iscrivere nel registro degli indagati Aldo Ercolano, classe 1960, e Orazio Privitera. Sono due boss di vertice della mafia catanese: il primo è il rampollo di razza della famiglia di sangue di Cosa nostra (figlio dei cugini Pippo Ercolano e Grazia Santapaola), il secondo è un ex esponente degli Sciuto-Tigna poi transitato nei Cappello-Carateddi assieme a Iano Lo Giudice. L’ergastolano è il protagonista dell’ultima “guerra” di mafia scoppiata ai piedi dell’Etna.

Ma perché la gip ha indicato questi nomi? «Dalle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori escussi nel corso delle indagini è emerso il coinvolgimento nella vicenda» dei due mafiosi. Ma per la giudice appare «necessario sentire a sommarie informazioni Federico Rovetta (fratello della vittima, ndr) sul punto specifico concernente i lavori appaltati dalla Megara ai fratelli Rapisarda e le eventuali problematiche insorte tra loro e Alessandro Rovetta».

Scenari

I nomi citati nelle due paginette depositate poco prima di Natale aprono scenari che conducono fuori dai confini di Catania, con intrecci non solo mafiosi. Si addensa l’ombra di lontani sistemi deviati. Ma si intravede anche il tratto di compasso e il tessuto bianco di grembiulini. I fratelli Rapisarda a cui si fa riferimento sono i fratelli Carmelo e e Francesco Rapisarda, imprenditori collegati all’indotto dell’acciaio. E se Carmelo è deceduto, Francesco è rimasto coinvolto in diverse inchieste tra Catania e la Calabria con riferimenti a logge massoniche. Insomma dietro a questo agguato, che attende risposte da quasi 34 anni ormai, potrebbero nascondersi misteri scomodi.

I pentiti

La cosa realmente strana è che nessun pentito abbia saputo dare fino a oggi una descrizione concreta dell’organizzazione e dell’esecuzione del duplice delitto. Cosa vuol dire? Che sono state coinvolte pochissime persone. Ed è facile pensare che si debba cominciare a guardare alla cupola di Cosa nostra. Ma infatti i collaboratori che hanno parlato di questo delitto hanno aperto alla pista palermitana. E di Acciaierie Megara ne ha parlato anche Bernardo Provenzano in un pizzino del 1994, indirizzato a Luigi Ilardo, cugino del capo della famiglia di Caltanissetta Giuseppe Madonia ucciso a Catania nel 1996. Il padrino di Cosa nostra avrebbe ordinato all’infiltrato Ilardo di «definire, tramite tale Vinciullo, il “discorso della ferriera”», ossia della Acciaieria Megara di Catania, prendendo i necessari contatti con Antonio Motta e Concetto Di Stefano (due personaggi di altissimo livello della cupola dei Santapaola-Ercolano degli anni ’90, ndr). Ilardo fu ammazzato pochi giorni dopo aver annunciato l’intenzione di lasciare la veste di confidente e di entrare nel programma di protezione dei collaboratori.

Il pentito Santo La Causa – reggente dell’ala militare dei Santapaola-Ercolano – ha raccontato ai pm che in carcere avrebbe saputo che «Nino Gargano di Bagheria avrebbe fatto affari e soldi trattando acciaio e avendo affari anche con la Megara». L’ex capomafia esclude che possa essere un omicidio legato a un’estorsione. Ipotizza un delitto su commissione dove sarebbero coinvolti solo i fedelissimi della famiglia. Ma ad agire – secondo La Causa – potrebbero essere stata anche «una squadra di palermitani» con l’autorizzazione dei catanesi.

Il duplice delitto alla zona industriale di Catania fu rivendicato qualche giorno dopo dalla Falange Armata. Una sigla che tornò dopo l’attentato alla villa di Pippo Baudo il 3 novembre 1991 a Santa Tecla, frazione di Acireale. La stessa che firmò – forse depistando – le bombe del 1993. Un collegamento che potrebbe aprire scenari inquietanti.

Ma bisogna cercare anche dentro gli asset societari delle Acciaierie Megara che portano a Brescia, in Lombardia. Alessandro Rovetta è un imprenditore bresciano. Quella è la provincia dove Aldo Ercolano ha trascorso una parte della sua latitanza. Il boss fu arrestato proprio a Desenzano Del Garda. Solo una coincidenza?COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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