Custodì le armi del clan, accolto appello del pm «Arrestate imprenditore»
La misura cautelare disposta nei confronti di Salvatore Raciti indagato a Catania per concorso esterno, non è però immediatamente esecutiva
Accolto l’appello della Procura. Il Tribunale del Riesame ha disposto la misura cautelare in carcere per l’imprenditore Salvatore Raciti, gestore e titolare di ristoranti e locali (alcuni anche chiusi) molto noti in città. L’accusa mossa dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e dalla pm Tiziana Laudani è concorso esterno al clan Cappello. Il gip aveva respinto la richiesta del provvedimento. Va chiarito che la misura non è immediatamente esecutiva in quanto la difesa può presentare ricorso per Cassazione.
Il mosaico
L’apparato probatorio si compone di diversi pezzi del mosaico. Già il nome del padre (Carmelo, che non è mai stato destinatario di misure) era finito nella bocca di diversi collaboratori di giustizia. L’ex reggente di Cosa nostra, Santo La Causa, parlò molte volte dei presunti contatti tra l’imprenditore e i Santapaola. Che però non sono mai stati provati. Sul figlio, invece, la Procura ha avuto dei riscontri. Anche di una certa rilevanza. La guardia di finanza decide di fare perquisizioni nei bungalow del lido Le Cappannine al viale Kennedy e anche nei terreni vicini al fine di trovare armi. A dare il là furono le dichiarazioni del pentito Sebastiano Sardo “occhiolino”. Nel 2020 i finanzieri trovarono armi, tra cui una pistola Glock (così come indicato dal collaboratore). Per quelle armi l’imprenditore è stato condannato. Dagli scavi, invece, emerse una vero e proprio arsenale. Che secondo Carmelo Liistro, braccio destro di Massimo Cappello, sarebbero state le “riserve di fuoco” di Salvuccio Lombardo, ‘u ciuraru’ junior.
Il ruolo di Raciti
Raciti avrebbe «instaurato con la cosca mafiosa un rapporto di reciproci e indubbi vantaggi». L'imprenditore avrebbe avuto la «protezione del clan» e i Cappello avrebbe ottenuto «servizi e utilità». I collaboranti raccontano che «gli associati mafiosi» avrebbero avuto «libero ingresso nelle strutture balneari e ricettive» dove addirittura si sarebbero tenuti «incontri e summit». Salvatore Raciti - per il Riesame - avrebbe «contribuito stabilmente al rafforzamento del sodalizio Cappello, garantendo, in particolare, alla consorteria la custodia dell'arsenale di diretta pertinenza di Salvuccio Lombardo Junior che all'epoca era a capo del gruppo di fuoco del clan Cappello».
La difesa
Non ha convinto il Tribunale la difesa di Raciti. «Le dichiarazioni di estraneità a consessi mafiosi e la negazione di essere stati destinatari di richieste estorsive appaiono scarsamente convincenti sul piano logico». A smentire quanto asserito dall’imprenditore in un lungo interrogatorio sono anche «le intercettazioni» dove emergerebbero «i rapporti amichevoli tra i Raciti ed esponenti mafiosi» che per i giudici del Riesame non possono essere «riconducibili puramente all'organizzazione di serate danzanti o di banchetti». Raciti ha anche portato sul tavolo dei giudici gli ultimi avvenimenti avvenuti. Come il recente rogo che ha distrutto il lido. Nemmeno questo ha convinto il Riesame. «Il ravvisato concorso esterno» non troverebbe «ostacolo negli incendi che nel tempo hanno interessato lo stabilimento balneare nel periodo della canicola estiva, nei furti che sono avvenuti e nelle risse scoppiate nella discoteca».