31 dicembre 2025 - Aggiornato alle 30 dicembre 2025 23:56
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Delitto al Cimitero, Pg: «Confermare la condanna del figlio»

Il processo era stato congelato dopo la riesumazione del cadavere della donna uccisa nel 2014.

Laura Distefano

16 Maggio 2025, 12:47

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Nessun cambio di passo. Il sostituto pg Antonio Nicastro ha chiesto alla Corte d’Assise d’Appello di confermare la condanna a 15 anni a Fabio Matà per l’omicidio della madre Concetta Velardi, avvenuta 11 anni fa al cimitero. Il processo proviene da un annullamento con rinvio della Cassazione della sentenza di secondo grado. Il militare di Maristaeli è stato condannato dal gup a 30 anni, poi ridotti a 15 dalla Corte d’Assise d’Appello che ha riconosciuto all’imputato le generiche.
Il processo l’anno scorso è stato congelato in attesa della relazione dei super periti chiamati a dare delle risposte sul “tempo di agonia” della donna, ammazzata a pietrate a pochi metri dalla tomba di suo figlio e suo marito. Si è arrivati a riesumare il cadavere per poter svolgere nuovi esami medico-legali, ma risposte certe non ne sono arrivate.

Per Nicastro la relazione di Giuseppe Ragazzi, il medico legale che ha svolto l’autopsia su disposizione della procura dopo il brutale assassinio, è quella da tenere in considerazione nella ricostruzione temporale. E non quella del medico legale intervenuto nel processo di secondo grado che parla invece di un’agonia di 10 minuti. Per il primo perito Velardi è stata agonizzante per 45 minuti, per il secondo solo 10. Questo tempo è cruciale se si considera che dopo le 16 c’è la prova che Fabio Matà aveva lasciato il camposanto per andare al bar a prendersi un caffè. Al ritorno chiama le forze dell’ordine denunciando la presenza della madre a terra sanguinante. Il decesso di Velardi è fissato intorno alle 16,20.

Per il sostituto Pg la prima perizia ha più valenza scientifica considerando che è stata svolta nell’imminenza della morte violenta. La seconda invece interviene a 10 anni di distanza. La super perizia invece non ha introdotto alcuna novità. E non ha confutato il ragionamento di nessuno degli altri periti.

Il magistrato poi ha valorizzato le testimonianze di chi ha sentito urlare la vittima un quarto d’ora prima delle 16. E poi le tracce di Dna di Matà sotto le unghie della madre, che non possono essere assimilate alla convivenza tra madre e figlio. Ma invece a un gesto di difesa. Le tracce di sangue sui vestiti dell’imputato non possono essere giustificate - per il sostituto Pg - soltanto dal fatto che Matà ha soccorso la signora Velardi.
Il movente sarebbe acclarato dai diversi messaggi estrapolati dal cellulare di Matà, in cui emergeva il rapporto conflittuale tra la madre e la compagna del figlio. Il 12 gennaio era in programma una cena di famiglia a cui avrebbe partecipato la fidanzata: Velardi avrebbe ribadito la sua contrarietà avvertendo che non sarebbe stata presente. Da lì forse una lite diventata tragedia.
La difesa parlerà a giugno. Poi, il mese dopo la sentenza.