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Energia, in Sicilia salta il “tappo”: in gioco 200 progetti fotovoltaici e due mega inceneritori

Di Mario Barresi |

Benvenuti – o meglio: bentornati – nel paese delle meraviglie. L’anarchica Isola della pacchia, per faccendieri e spesso per mafiosi (talvolta le categorie vanno a braccetto) che hanno fatto ricchi affari nei settori dell’energia e dei rifiuti. E che magari brinderebbero se fosse fatta fuori la commissione di esperti, slegati dalla politica, che nei prossimi mesi decideranno, fra l’altro, la sorte di due mega-inceneritori da mezzo miliardo fra Catania e Siracusa e di 200 progetti nella giungla del fotovoltaico, sette dei quali valgono da soli quasi un miliardo d’investimento.

In quale contesto? Un’enciclopedia, in materia, è la cronaca giudiziaria siciliana dell’ultimo ventennio, un ininterrotto susseguirsi di mazzette e infiltrazioni, «firmette» e pressioni. E dietro l’angolo c’è l’Eldorado del Recovery Plan (decine di miliardi per la transizione energetica e l’economia circolare): opportunità per centinaia di imprenditori onesti, innanzitutto. Ma, avverte la recente relazione della Direzione investigativa antimafia, «è oltremodo probabile che i sodalizi tentino di intercettare i nuovi canali di finanziamento» anche per «le opere necessarie per una generale riconversione alla green economy». Fin qui il quadro complessivo.

E ora uno zoom profondo. Nel frattempo, all’Ars, spuntano due paginette. Un emendamento alla finanziaria regionale, approvato (nella disinteresse più o meno generale) in commissione Ambiente col voto compatto del centrodestra. Prima firmataria la presidente Giusi Savarino. Che esulta: «Mai più lungaggini burocratiche». L’esponente di DiventeràBellissima declama i buoni propositi: «Potenziare la commissione Via-Vas, divenuta purtroppo un imbuto della Regione». Si tratta della commissione tecnico specialistica, fortemente voluta, proprio all’indomani dello scandalo Arata sull’eolico, «per fare pulizia nel settore delle autorizzazioni», da Nello Musumeci. Che ha imposto Aurelio Angelini, prestigioso professore e suo consulente in materia ambientale, come presidente.

L’organo tecnico indipendente, di recente integrato nella sua composizione (in tutto 30 esperti), ha il delicatissimo compito di istruire tutte le pratiche delle valutazioni ambientali della Regione, ma soprattutto di decidere sulle autorizzazioni. Ma così com’è non va più bene: «Abbiamo pensato col nostro gruppo parlamentare di DiventeràBellissima (Giorgio Assenza, Alessandro Aricò, Pino Galluzzo e Giuseppe Zitelli gli altri autori dell’emendamento, ndr) di triplicarne i componenti, ma divisi per tre sottocommissioni con competenze specifiche strettamente legate alle materie che tratteranno. Basta tuttologi, chi è esperto di pianificazione urbanistica non è detto conosca pure di energia e rifiuti», scandisce Savarino. Anche perché «dobbiamo dare un’accelerazione alle autorizzazioni, ed eliminare l’arretrato».

Tutto molto bello. In apparenza. Perché, più in profondità, c’è qualche dubbio sulla riforma che annuncia di far saltare il “tappo” della commissione. Al di là della polverizzazione dell’organismo (da 30 a 60 tecnici, suddivisi in tre sottocommissioni), il che potrebbe avere un senso in termini di velocizzazione, il punto di caduta è che la Cts viene di fatto snaturata. Un organo che prende decisioni in autonomia, con la norma passata in commissione Ambiente, viene messo sotto le «dipendenze funzionali» della burocrazia: sarà il dirigente generale del dipartimento Ambiente a presiederla.

Ma le perplessità su questa scelta sono anche di altro genere. Una è di tempistica. Appena pochi giorni fa è stato “dimissionato” Alberto Pierobon, immolato ufficialmente sull’altare della quote rosa. Proprio l’ex assessore a Energia e Rifiuti, uscendo di scena, ha messo in guardia la Regione da «avvoltoi e speculatori, che in questi anni si sono arricchiti sulle spalle dei siciliani» e che «non vedono l’ora di sfruttare ogni occasione per affossare il processo di riforma».

E adesso arriva l’emendamento scaccia-Angelini. Proprio quando la sua commissione (404 pareri nel 2019, 513 nel 2020) ha sul tavolo delle richieste d’autorizzazione molto delicate. Innanzitutto due mega-inceneritori con annessa discarica di residui. Il primo è a Grotte San Giorgio, presso Lentini, è della Sicula Trasporti, azienda in amministrazione giudiziaria dopo che i titolari, i fratelli Leonardi, sono stati arrestati (e ora sono a processo) per corruzione e reati ambientali. Il secondo è a Catania, nella zona fra l’Ikea e l’ex Acciaieria Megara, presentato da Si Energy, società con sede a Palermo e cuore operativo nel Bresciano. Una partnership di Ettore Lonati e Amato Stabiumi, a capo della Siderurgiche Investimenti (colosso dell’acciaio che controlla anche l’ex Megara) con Giorgio Alberti, commercialista bresciano e titolare della M. M. Energie, società con 10mila euro di capitale.

I due progetti, per un valore complessivo di 520 milioni, in una prima fase dell’istruttoria sarebbero stati considerati «sovradimensionati». Ma la fetta più grossa arriva dal fotovoltaico. Settore che, dopo la saturazione dell’eolico – dovuta anche a una mappa regionale delle aree idonee – attira gli interessi degli investitori grazie anche a una sostanziale anarchia.

Col piano energetico scaduto dal 2012 (Pierobon ha avviato la procedura per quello nuovo, adesso se ne occuperà la nuova assessora Daniela Baglieri), in Sicilia, al netto di alcune prescrizioni sulle distanze, non c’è alcun ostacolo a un impianto fotovoltaico. Tranne la commissione Angelini, che ha in pancia oltre 200 richieste. Sulle quali ballano 1,5 miliardi, di cui oltre 900 milioni puntati soltanto su sette impianti giganteschi (in media 300 Mw l’uno di potenza), localizzati su enormi distese sull’asse Catania-Enna-Ragusa, ma anche nel Trapanese e ad Agrigento. In questo caso, però, a presentare le istanze sono dei mediatori (i più importanti provengono da Bolzano e dalla Germania) pronti a vendere le eventuali autorizzazioni agli imprenditori che intendono realizzare i pannelli solari.

Un modello di business legittimo, che non è diverso da quello adottato con tutt’altri scopi da Vito Nicastri, impropriamente definito “re dell’eolico”: il faccendiere a processo, ritenuto legato a Matteo Messina Denaro, non ha mai costruito un solo pannello, ma ha sempre trafficato in autorizzazioni per conto terzi. Non a caso la Dia avverte sulla «propensione per gli affari» dei clan «che passa attraverso una mimetizzazione attuata mediante il “volto pulito” di imprenditori e liberi professionisti attraverso i quali la mafia si presenta alla pubblica amministrazione adottando una modalità d’azione silente che non desta allarme sociale». Come dire: dal Recovery Plan al “Recovery Clan” è un attimo.

Tutto ciò, ovviamente, non c’entra nulla con la “leggina” su cui dovrà adesso esprimersi tutta l’Ars. Considerare la Cts una sorta di tappo per lo sviluppo della Sicilia è un giudizio gemello rispetto a quello già espresso dalla sezione marmi di Sicindustria, che, assieme al Consorzio siciliano cavatori e al Consorzio della pietra lavica dell’Etna. Protagonisti di un attacco durissimo contro la commissione Angelini, accusata di esprimere «pareri fantasiosi e arbitrari», ma soprattutto, in sostanza, di essere di fatto un coacervo di fannulloni. Numeri (900 pratiche bloccate, di cui 140 solo nel settore lapideo) che vengono contestati dai tecnici, che parlano di 300 richieste complessive in carico, più della metà «tecnicamente non procedibili in assenza di pareri intermedi», di cui 100 (22 sulle cave) in istruttoria, con «redazione dei dei pareri entro due mesi». Sicindustria – al netto di vecchie pressioni su rifiuti e dintorni emersi nelle carte del processo ad Antonello Montante – recita un legittimo ruolo di portatrice sana di interessi, così come altri consorzi del settore. E sono in tanti che festeggerebbero l’addio all’«imbuto», ovvero la commissione così com’è, promesso da Savarino&C.

Ma c’è chi dice no. Claudio Fava lancia l’allarme: «Arriva il tempo dei lupi, arrivano i “piccioli” del Recovery e c’è chi arrota i denti». Il presidente dell’Antimafia regionale mette in guardia sul «tentativo di normalizzazione» del settore energia-rifiuti, «facendo saltare, tra l’altro in assenza di strumenti regolatori sul fotovoltaico, l’ultimo punto di filtro anche rispetto alle potenziali infiltrazioni segnalate dalla relazione della Dia». Il tutto con «l’imbarazzante silenzio di Musumeci, che dopo lo scandalo Nicastri tuonò per avere la commissione Angelini e ora s’inabissa dopo il blitz dei suoi deputati all’Ars».Ecco, adesso il punto è proprio questo. Capire se il governatore, nella potenziale Wonderland di mega-inceneritori e feudi di pannelli, voglia fare l’Alice della situazione. Oppure no.

Twitter: @MarioBarresi

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