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Film e fondi della Regione, Scimeca non ci sta: «Meloni ipocrita su Antimafia, ci prende tutti per il c...»

Il regista si sfoga dopo la bocciatura del suo film su Lillo Zucchetto per il quale aveva chiesto 400mila euro

Mario Barresi

05 Luglio 2025, 11:07

Pasquale Scimeca

Pasquale Scimeca

Maestro Scimeca, ha letto delle polemiche sul mancato finanziamento del film su Biagio Conte?

«Pure io feci un film su Fratel Biagio, dieci anni fa. E, pensi un po’, me lo finanziò la Film commission regionale. Ma, con tutto il rispetto, la cosa più grave è che hanno escluso anche il mio progetto. Sono basito. È una vergogna».

Il suo film su Zucchetto, oggetto di un appello di intellettuali e antimafia al presidente della Repubblica. Perché gliel’hanno bocciato?

«Questo lo vorrei capire anch’io. Infatti ricorrerò al Tar contro una decisione assurda. Senza una sola riga sul perché».

C’era una commissione a giudicare la valenza dei progetti da finanziare.

«La stessa che in fase istruttoria ci aveva escluso con una motivazione falsa. Dicevano che mancava la certificazione “green film”. Ma c’era: un documento di 13 pagine, mica un foglietto che si può perdere in una carpetta».

Sta dicendo che volevano bocciarlo sin dall’inizio?

«No, ma ho pensato che ci fosse qualcosa di strano. Poi abbiamo fatto ricorso e ci hanno riammessi».

Alla fine vi hanno escluso.

«In modo indecente: per uno zero virgola in una delle voci per il punteggio. In tre su quattro avevamo punteggi altissimi, ma il bando prevedeva che ci fosse un minimo per ognuno dei criteri: e in uno ci hanno dato 14,76 punti e non siamo arrivati al minimo di 15».

Di quale criterio si tratta?

«La consistenza della società proponente. Che in questo caso è la più antica di Sicilia, con 35 anni di storia alle spalle. Mi viene da ridere se penso che il bando sulla carta finanziava film di “alto contenuto culturale”. Hanno finanziato una serie di Michele Placido su Livatino, sul quale ci sono stati altri film. Ma perché dare 500mila euro una serie già coperta dai fondi Rai e non a un film indipendente che senza quesi soldi non si può fare?».

Evidentemente, per un organismo tecnico, il film antimafia di Scimeca non era meritevole di essere sostenuto.

«Allora, premesso che non è detto che un film sulla mafia non possa essere una schifezza, su questo c’era la mia firma: faccio film sulla mafia da vent’anni, da Placido Rizzotto in poi, sono il regista più titolato, ho vinto decine di premi. Ma la cosa che mi fa impazzire è che dietro questo progetto c’è un lavoro di anni di documentazione, con il cento per cento di cast e maestranze siciliano. Il mancato finanziamento non è uno sgarbo a me, ma uno sfregio alla memoria della Sicilia, l’oblio rispetto a una storia di resistenza alla mafia».

Ci racconta il suo “Il ragazzo che amava i cavalli”?

«Lillo era un ragazzo di Sutera, che viveva felice in campagna, in mezzo ai cavalli che allevava il padre. A 17 anni si trasferisce a Palermo, in un quartiere dove comanda la mafia. E viene picchiato da tre giovani che sarebbero diventati i più spietati killer: Scarpuzzedda, Pocket Coffee e Lucchiseddu. A 19 anni Zucchetto si arruola in polizia. Fa la scorta a Falcone, ma, dopo la morte di Boris Giuliano, il giovane agente va da Cassarà e gli dice: “Voglio rendermi utile”. E lavora con Montana, Mondo e Antiochia in quello che veniva definito “l’avamposto dei passi perduti”. Lillo dava la caccia ai latitanti, il suo rapporto “Michele Greco + 161” fu una delle prime fotografie nitide di Cosa Nostra. Lo uccisero. Lui come Ninni, Beppe, Natale e Roberto».

Quanto aveva chiesto di finanziamento alla Regione?

«Quattrocentomila euro, ottantamila per ogni poliziotto-eroe, santiddio. Mi pare un costo sostenibile (ride, ndr)?».

Conosce Nicola Tarantino, il dirigente della Sicilia Film Commission?

«Non è parente di Quentin (e ride ancora, ndr)? No, scherzi a parte: ho letto di lui sui giornali negli ultimi giorni. Mai avuto a che fare con lui né con altri di quel giro».

Pensa che la bocciatura del suo film dipenda da ragioni politiche?

«Questo non lo so. È un film che parla di poliziotti, con la citazione iniziale della poesia di Pasolini su Valle Giulia,… So solo che una commissione di un assessorato guidato da tale assessora Amata, della quale ho pure letto qualcosa in questi giorni, ha deciso di oscurare, in apparenza per un cavillo burocratico, un importante contributo antimafia. Amata è di Fratelli d’Italia, il partito di Meloni, che l’altro giorno s’è riempita la bocca su Borsellino, raccontando che entrò in politica dopo la strage di via D’Amelio. Allora, due sono le cose: o ci pigliate per il culo perché è solo apparenza e non ve fotte nulla dell’antimafia o c’è qualcosa che non va. Ne parlavo poco fa col fratello di Beppe Montana: i familiari, a questi qui, li dovrebbero cacciare tutti a calci nel culo quando ogni anno si presentano alle commemorazioni. La signora Meloni è ipocrita sull’antimafia, se non chiama l’assessora Amata per farsi spiegare il perché. Così come mi dà da pensare il presidente Schifani, legato ad alcuni personaggi della Missione, che si precipita a dire che troverà altri soldi per il film su Biagio Conte e non dice una parola sul mio. Perché questa differenza?».

Cosa farà adesso? Rinuncia al film?

«Ma nemmeno per sogno. Farò ricorso al Tar contro la Regione, chiederò i fondi al ministero della Cultura e vediamo se ci sarà un’altra vergogna. Poi chiederemo un finanziamento a Rai Cinema, e proveremo con il 40 per cento di tax credit…».

Insomma, non si arrende.

«Non mi arrendo, sono più motivato di prima. Il film lo faccio, lo devo fare. Andrò a incatenarmi davanti alla Regione, farò lo sciopero della fame. Lillo, Beppe, Ninni, Roberto e Natale avevano di fronte i killer di mafia più spietati, gli assassini più sanguinari sulla faccia della terra. E non si sono arresi. Lei pensa che io mi possa arrendere davanti a quattro burocrati e un’assessora amica della Meloni? Se lo facessi mi sentirei un verme».