Francesca Albanese: «A Gaza c'è un genocidio, non ci si può voltare dall’altra parte»
La relatrice speciale dell’Onu ieri a Catania: «Distruzione sistematica»
Sono accorsi a migliaia in piazza Castello Ursino, rimanendo in piedi per ore, pur di ascoltare Francesca Albanese che presentava il suo libro “Quando il mondo dorme. Storie, parole e ferite della Palestina”, Rizzoli editore. Un testo che la relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati ha pensato come rivolto soprattutto ai ragazzi, che «mostrano un grande desiderio di capire che cosa sta succedendo», e ai loro docenti «che devono avere il coraggio e la forza di svolgere il proprio ruolo secondo etica».
Quali sono secondo lei i reali motivi per cui Netanyahu ha deciso l’invasione di Gaza, nonostante il parere contrario del capo di stato maggiore Zamir?
«Dall’ottobre 2023 sostengo lo stesso argomento: c’è un intento chiaro in ciò che il governo israeliano sta facendo ed è svuotare Gaza dei palestinesi. Israele dice di volere eliminare Hamas, ma vediamo che ha colpito donne, bambini, medici, giornalisti, accademici… Quando c’è l’occasione della guerra Israele ne approfitta per distruggere ciò che resta della Palestina scacciando chi la abita per appropriandosene. L’ha fatto nel 1945-49 in quella che i palestinesi chiamano la catastrofe e l’ha fatto nel 1967. Distruzione di villaggi per rendere impossibile la possibilità di rientrare e cacciata della popolazione. Israele vuole la terra di Palestina senza palestinesi. E’ un progetto che viene da lontano e si sta compiendo con questo governo che è il più messianico che Israele abbia mai avuto».
Eppure in Occidente il pensiero dominante rifiuta la definizione di genocidio, così come all’inizio avvenne per Srebrenica.
«Durante il genocidio in Bosnia Erzegovina sono state stuprate 50.000 donne e per un periodo di due anni i cecchini hanno ammazzato persone solo perché bosniache. Un atto genocida, anche se la Corte internazionale non lo ha riconosciuto come tale. E io lo rispetto. Ed è quello che sta succedendo a Gaza. Che la giurisprudenza lo riconosca o no l’intento è chiaro: non va derivato, come in quel caso. Qui è dichiarato: lo hanno detto e ridetto i politici, i religiosi, le persone dello spettacolo. C’è una società intera che sostiene la distruzione del popolo palestinese perché vivono questo momento come un aut aut: o noi o loro. In questo contesto gli occidentali hanno giocato un ruolo violento. Dopo il 7 ottobre andava stemperata la furia di violenza e la fame di vendetta, invece la si è sostenuta e anche alimentata».
Eppure nel suo libro ha scritto che vede i semi di una rivoluzione. Dove li vede?
«In Italia è difficile, è un Paese deprimente. La stampa sembra completamente drogata, i giornalisti, in genere, sono senza nerbo, impreparati. Questo dà la misura del problema. E i cittadini - che vedono donne, bambini e anziani ammazzati senza che nessuno intervenga - non capiscono che cosa sta succedendo. I segni della rivoluzione li vedo nei giovani, nella gente che si ribella, nei dipendenti pubblici, nei giornalisti che rompono i ranghi, anche se in Italia sono pochi, ma stanno crescendo. La gente ha fame di capire come uscire da questa pesantissima e soffocante situazione».
Condivide l’opinione di chi sostiene che gli israeliani non sanno quello che succede a Gaza?
«Gli israeliani sanno perché lo stanno facendo loro. Tranne i pochi che si rivoltano al genocidio, all’occupazione permanente e all’apartheid, tranne quella piccolissima frazione di ragazze e ragazzi che si rifiutano di servire nell’esercito, gli altri, e in particolare i soldati, sanno che cos’è l’occupazione e quali sono i crimini che Israele sta perpetrando. Sanno cosa stanno facendo, ma gli altri sono Amalek, il male, e vanno distrutti».
Cosa succederà se si arrivasse all’invasione?
«Israele occupa già larghe porzioni di territorio a Gaza, ha asfaltato completamente il 25% della terra. Se manderà nuove truppe all’interno del territorio di Gaza ci sarà più violenza e sarà il colpo mortale. C’è tanta gente che dall’ottobre del 2023 ha perso la famiglia, ha perso tutto, e si è messa a combattere. E’ resistenza pura. La presenza di Israele a Gaza non ha ragion d’essere. L’unica cosa legale che Israele può fare è di prendere le sue truppe e ritirarle. Le prossime potrebbero essere le ultime ore e settimane di Gaza. Quella che abbiamo conosciuta è già finita, adesso anche per i palestinesi che ci sono potrebbe essere la fine. Che orrore per tutti noi! E’ successo sotto i nostri occhi. C’è stato chi ha tentato di fare qualcosa per fermare questo genocidio e chi ha preferito vivere come sempre con i telefonini e le vacanze, come avvenne durante lo sterminio degli ebrei. Siamo questo: mostri che riescono a fregarsene della vita degli altri. E se crediamo che non ci toccherà ci sbagliamo. E’ cominciata una fase nuova. A Gaza c’è già stata l’Apocalisse. Il diritto non vale più nulla. Siamo tornati indietro, alla legge del più forte. E invece di opporsi a questo stato di cose determinato fortemente dagli Stati Uniti, la più grande potenza bellica al mondo, l’Europa vassalla scodinzola. Questo ci dovrebbe fare tremare perché si ritorcerà contro di noi».
Cosa ha appreso da relatrice delle Nazioni Unite per la Palestina?
«Sono più consapevole della situazione della Palestina dove pure ho vissuto anni e dove sono ritornata regolarmente per ricerca. C’erano cose che non capivo bene come la complessità dell’apartheid e le sue motivazioni, e come il sistema di detenzione che è strutturale e intenzionale, voluto per tenere i palestinesi sotto il giogo della dittatura militare. Oggi conosco molto meglio il territorio palestinese e capisco meglio quello che non funziona all’interno delle Nazioni Unite ed è per questo che spendo molto tempo incontrando i giovani nelle università e la gente comune. Il cambiamento è possibile, ma dipende da tutti noi. Ci sono pratiche che devono essere avviate a partire da qua. La Palestina come apocalisse ci sta dimostrando tanto la fine quanto un nuovo inizio possibile, ma dobbiamo veramente cambiare le nostre abitudini di vita e di consumo. La Palestina ci dà l’opportunità di aver un progetto pilota. Ai Comuni che mi offrono la cittadinanza onoraria dico: grazie, ma che fate? Bisogna farsi promotori e promotrici di acquisti etici, consumi etici e appalti etici. Significa che non possiamo più vendere il made in Israel. Come quando si è capito che cosa facevano gli africaner ai non bianchi e si è scelto di non continuare a commerciare con il Sud Africa. L’apartheid in Sud Africa è crollato per l’impegno comune. E così sarà per la Palestina, ma serve impegno da parte di tutti e tutte».