Giampiero Salvo lascia il carcere: libero il boss che ha ripudiato la mafia
Differimento pena per l'ex esponente del clan Cappello che vuole dire ai giovani che il mondo criminale fa schifo
I carabinieri ieri hanno notificato nelle mani del boss Giampiero Salvo, condannato all’ergastolo per la Strage di Catenanuova, il verbale di notifica «per l’esecuzione dell’ordinanza di rinvio dell’esecuzione per differimento definitivo della pena detentiva con conseguente scarcerazione» emesso dall’ufficio esecuzioni penali della procura di Caltanissetta. Un provvedimento che arriva dopo la decisione del Tribunale di Sorveglianza che ha «disposto il rinvio dell’esecuzione della pena per gravi condizioni di salute».
Perché Salvo è libero?
Dietro tutto questo burocratese c’è un fatto: Salvo è un uomo libero. Colui che per anni è stato il vertice del clan Cappello di Catania, prendendo in eredità il pesante scettro del padre, Giuseppe (o meglio conosciuto come Pippo ‘u carruzzeri), stava espiando la condanna per omicidio ai domiciliari per il suo stato di salute.
Non solo i problemi di salute
Ma nel provvedimento del Tribunale di Sorveglianza non si parla solo della gravità delle patologie del boss 47enne - difeso dall’avvocato Giorgio Antoci - che sono incompatibili con lo stato detentivo in carcere. Per il collegio «deve essere valorizzato il percorso di rivisitazione critica sul proprio operato posto in essere da Salvo, che oltre a riconoscere le proprie responsabilità ha espresso al presidente del Tribunale dei Minori la propria disponibilità a collaborare con lo stesso al fine di adoperarsi nei confronti di minori autori di reato, raccontando la sua esperienza delinquenziale ed indurli così sia ad una riflessione critica sui comportamenti devianti attuati, sia alla necessità di intraprendere un serio percorso di legalità lontano da ambienti criminali».
Il messaggio ai giovani
Questa estate Salvo ha scritto al giudice Roberto Di Bella chiedendogli un incontro. In quel faccia a faccia ha voluto mettersi a disposizione per dare un messaggio ai giovani che devono stare lontano da certi ambienti, perché portano solo alla morte (se non fisica, dell’anima). Un concetto ribadito anche in un’intervista a La Sicilia, dove ha spiegato il perché ha deciso di allontanarsi dal mondo della mafia, ma di farlo senza diventare un collaboratore.
Il Tribunale di Sorveglianza, infine, scrive: «Preso atto delle grave patologie da cui è affetto il condannato, considerato che allo stato non sembrano sussistere residui di pericolosità sociale, non si ravvedono ragioni per le quali ritiene necessaria l’applicazione di un presidio detentivo».
Salvo sarà nei radar degli investigatori. E dovrà rigare dritto, così come ha messo nero su bianco. Non ci sarà sicuramente possibilità di un altro appello.