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Gino Rannesi, il delfino del “ malpassotu” e uomo d’onore di Cosa nostra recluso al 41 bis

La richiesta di applicargli il regime di carcere duro previsto dall’ordinamento penitenziario è partito direttamente dalla Procura e quindi dalla Dna.

Di Laura Distefano |

Gino Rannesi è recluso al 41 bis. Il decreto del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, è arrivato alcuni mesi fa e precisamente dopo il blitz Sabbie Mobile della Squadra Mobile. Un passato criminale di elevato spessore mafioso: tra i fratelli è stato sempre considerato quello che aveva le doti da “capo”. Il carisma da boss e le parentele acquisite, era genero di Pippo Grazioso (sposato con la figlia del boss scomparso Giuseppe Pulvirenti), gli hanno fatto scalare l’organigramma prima all’interno del clan del malpassotu e poi dentro Cosa nostra.

Sono passati 30 anni dalla sua “storica” cattura con il capomafia Santo Mazzei ‘u carcagnusu nelle curve dell’Etna. Era l’11 novembre 1992 quando i poliziotti li fermarono e li arrestarono. Rannesi all’epoca era appena un ventenne. Ha passato diversi decenni in carcere per mafia e omicidi. Poi una volta che è tornato in libertà, per la Procura ha messo immediatamente di nuovo le mani in pasta. Qualcuno in via Lenin ritiene che non avesse scelta, visto che senza di lui le cose non “furriavano” come dovevano.Un uomo d’onore è Gino Rannesi. Su questo ci sono pochi dubbi. Quando il clan del malpassotu si è sciolto a seguito della collaborazione di Pulvirenti – decise di formare, portando con sé i fratelli, una squadra nella frazione misterbianchese all’interno della famiglia di Cosa nostra catanese.

La richiesta di applicargli il regime di carcere duro previsto dall’ordinamento penitenziario è partito direttamente dalla Procura e quindi dalla Dna. Senza il filtro per i pm ci sarebbe il rischio di poter esercitare ancora la sua influenza mafiosa nella sua roccaforte territoriale. Della sua figura di vertice parlano anche diversi pentiti, dall’ex capo Giuseppe Scollo («ho cominciato a far parte del gruppo nel 1991 che faceva capo a Girolamo Rannesi all’interno del clan del Malpassotu») all’ex reggente del gruppo santapaoliano dei Nizza Silvio Corra («non conosco personalmente i Rannesi ma so che sono affiliati e fanno parte del gruppo di Lineri»).

Rannesi riuscì a tornare in libertà nonostante le condanne all’ergastolo per omicidi. E dopo pochi anni a piede libero è tornato in gattabuia in regime di 41bis, quello dedicato ai boss più pericolosi. Un destino che torna a condividere con Santo Mazzei, il capo dei capi del “traforo”. Corsi e ricorsi storici.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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