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IL RICORDO

I 30 anni dalla cattura di Santapaola: la latitanza negli scantinati e l’ultima colazione

Gli inizi da biscazziere, l'investitura da uomo d'onore, la complicità coi corleonesi, la fuga e l'arresto: ascesa e caduta del “cacciatore”

Di Laura Distefamo |

Il 18 maggio del 1993, prima dell’alba, venne catturato il boss della mafia catanese Nitto Santapaola. All’epoca era chiamato ‘u licantropo’ (o cacciatore). E così i poliziotti decisero di nominare il blitz della sua cattura Luna Piena. Poi nel corso degli anni quel nomignolo perse forza. E diventò quasi una leggenda dei sobborghi di San Cristoforo a Catania, dove il boss è cresciuto. Anzi una parte della sua fanciullezza la trascorse nei salesiani dell’oratorio di via Delle Salette.

Quella notte del 18 maggio 1993, a Granieri nelle campagne calatine, i poliziotti dello Sco e della Squadra Mobile lo sorpresero nel sonno. Accanto l’amata moglie Carmela Minniti, che non lo lasciò mai in 11 anni di latitanza. Vicino al giaciglio una pistola carica che però non usò quella notte. «Tutte le cose finiscono» mormorò. Come ultimo desiderio, prima di farsi ammanettare, chiese di poter condividere l’ultima colazione con la consorte, che due anni dopo venne uccisa nella loro casa in via De Chirico a San Gregorio di Catania.

Capelli neri e baffi

Capelli neri e baffi. Così i fotografi arrivati da ogni dove lo immortalarono davanti alla Questura catanese. Un look diverso da quelle immagini trovate diversi anni prima a casa del suo fidato amico imprenditore Franco Romeo, ammazzato in un agguato nel 1982 . Santapaola, in quegli storici scatti, banchettava con politici e amministratori. Ma il padrino catanese aveva un doppio volto: spietato killer per cui sta scontando diversi ergastoli (anche se per il delitto Dalla Chiesa alla fine è stato assolto) e criminale diplomatico amico di imprenditori e vertici delle Istituzioni.

Nonostante si fosse servito della benedizione del corleonese Totò Riina per prendere il comando, Santapaola non fu mai sostenitore della linea stragista dell’attacco frontale allo Stato. E non mancarono infatti i tentativi di spodestarlo dal trono. Tentativi falliti.

Gli inizi da biscazziere

Nitto Santapaola iniziò come biscazziere in Piazza Bovio. Alla sua corte cugini e nipoti. La stirpe della famiglia catanese di Cosa nostra cominciò con tre donne. Le tre sorelle D’Emanuele sposarono i papà di Benedetto Santapaola, di Giuseppe Ercolano e di Giuseppe Ferrera.

Nel 1962 venne ‘fatto’ uomo d’onore Antonino Calderone, il fratello di Pippo, che diventò anni dopo il Buscetta catanese. In quella stessa cerimonia vennero fatti altri 8 uomini d’onore: tra questi Nitto Santapaola. Da semplice soldato di Cosa nostra (in guerra con i Cursoti) entrò nelle grazie del capo Giuseppe Calderone che però l’8 settembre 1979 fu ammazzato ad Aci Castello. Quell’omicidio cambiò radicalmente gli assetti criminali e decretò l’ascesa di Santapaola.

Boss in giacca e cravatta

Il boss da subito volle fare il mafioso in giacca e cravatta. Non a caso a metà degli anni 70 lasciò la sua casa in via Di Giacomo per trasferirsi con la famiglia – i tre figli Vincenzo, Cosima e Francesco – in via Giuffrida. Solo dopo abitò nella collina di Cerza. Poi arrivò l’ordine di cattura che lo costrinse a nascondersi. Anni tra campagne messinesi con l’appoggio dei Barcellonesi, in scantinati dell’Etna, nei casolari del calatino. Il suo vice fu Aldo Ercolano, figlio del cugino Pippo Ercolano e della sorella Grazia. Lo stesso che uccise Pippo Fava.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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