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Il Capitano Ultimo, l’uomo che arrestò Riina: «Ma oggi la lotta alla mafia annaspa»

Di Tiziana Lupi |

Come ciascuno di noi, anche Sergio De Caprio ricorda perfettamente dov'era quel 23 maggio 1992, quando la mafia uccise il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre uomini della scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Lui, però, non è uno qualunque: è il Capitano Ultimo, l'ufficiale che a capo dell’unità Crimor dei Ros dei Carabinieri, il 15 gennaio 1993 mise materialmente le manette a Totò Riina, uno dei boss responsabili della strage: «Quel giorno di maggio ero a Milano, nella caserma di via Moscova e lavoravo con quattro-cinque carabinieri in una stanza piccolissima in cui la luce del sole che entrava dalla finestra si rifletteva sul pavimento. Quando è arrivata la notizia dell’attentato – ricorda Ultimo in un’intervista all’Italpress -, quella luce è diventata qualcosa di fisico, qualcosa che si poteva quasi toccare. Rimasi a guardare il pavimento e, poi, ebbi una sensazione di vuoto data dalla consapevolezza di avere perso qualcosa di grande, di prezioso. Subito dopo arrivò la voglia di prendere chi aveva fatto quella strage».

Cosa ha rappresentato per lei quella strage?

«La perdita di una mente illuminata, di una conoscenza, di una visione e della capacità di sconfiggere Cosa Nostra. Molte volte ora vedo gente che annaspa, che non ha un minimo di capacità di visione della lotta. E i risultati ridicoli lo testimoniano».

Dell’arresto di Totò Riina, invece, cosa ricorda?

«Fu una giornata importante in cui la tecnica del generale Carlo Alberto dalla Chiesa venne applicata perfettamente. La soddisfazione è stata leggere la sentenza in cui Ganci, Biondino e Anzelmo dicono di avere pedinato giorno e notte Falcone prima di ucciderlo e, poi, la relazione di servizio in cui è scritto che noi avevamo seguito loro. È la superiorità dello Stato, quando vuole. Non lo Stato che abbandona Falcone e Dalla Chiesa: quello è il vuoto, la mediocrità delle gerarchie che vuole annullare il talento dei servitori dello Stato».

Quell'arresto sembrò l’inizio della fine di Cosa Nostra.

«E, invece, oggi scopriamo che è rimasto tutto uguale. Basta leggere l’ordinanza di custodia cautelare del gip del Tribunale di Palermo per Giuseppe Guttadauro e suo figlio Mario Carlo (accusati di associazione di tipo mafioso, ndr). I cognati di Matteo Messina Denaro mettono i figli al loro posto e organizzano il traffico di droga dal Brasile e dalla Colombia».

I giovani di oggi spesso purtroppo sanno poco o nulla di Falcone, Borsellino.

«Con loro è stato sbagliato il modo di dialogare, non possiamo fargli la lezioncina su cosa è bene e cosa è male. Non hanno capito che lo Stato sono loro, che il mondo appartiene a loro e non possono affidarsi alle vecchie generazioni. Chiediamogli, piuttosto, cosa vogliono e cosa gli fa schifo e aiutiamoli a costruire il mondo che desiderano. Noi, ormai, siamo spariti ed è un bene visto quello che sta succedendo con la guerra in Ucraina».

Nel marzo 2020 lei ha lasciato i carabinieri dopo 42 anni di servizio, poi è stato assessore regionale alla Tutela dell’Ambiente in Calabria. Ora cosa fa?

«Porto avanti progetti di solidarietà nei confronti dei meno fortunati presso l’Associazione Volontari Capitano Ultimo che si trova a Roma. Abbiamo una casa famiglia, una mensa per i poveri, un ristorante e una pizzeria che funzionano grazie all’impegno di volontari appassionati e che ospitano percorsi di formazione a favore di detenuti minorenni e persone vulnerabili. Quello che ricaviamo dalle nostre attività e dai nostri laboratori lo redistribuiamo a chi ha bisogno alla fine della Messa che celebriamo la domenica».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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