Il cardinale Montenegro: «Non accogliere i migranti è non credere in Dio»

Di Redazione / 02 Luglio 2018

«È una civiltà, ma purtroppo anche una religione (ma si può chiamare religione, se è così?) che disconosce i diritti degli uomini, che fabbrica i poveri, e poi non li vuole perché danno fastidio, e li lascia morire».

Lo ha detto l’arcivescovo di Agrigento e presidente di Caritas italiana, il card. Francesco Montenegro, nell’omelia della messa per la festa del patrono San Calogero, celebrata ieri nel santuario dedicatogli. «I migranti, i poveri sono un termometro per la nostra fede. Non accoglierli, soprattutto chiudendo loro il cuore, è non credere in Dio – ha aggiunto il porporato, citato dal Sir -. È Gesù a venire da noi su un barcone, è lui nell’uomo o nel bambino che muore annegato, è Gesù che rovista nei cassonetti per trovare un pò di cibo».

Sottolineando come «ogni migrante è una storia e una vita che, ci piaccia o no, s’intreccia con le nostra», l’arcivescovo ha ricordato che «i poveri e i migranti hanno un nome come noi, sognano come noi, sono pieni di paure come noi, sperano come noi, vogliono una famiglia come noi, credono in qualcosa o in qualcuno come noi, osano come o più di noi, desiderano essere trattati come noi». Quindi, l’invito a «lasciarci scuotere la coscienza dal fatto che tanti bambini, uomini, donne, perdano la vita in mare».

«La parola di Dio ci mette in guardia dall’essere ipocriti. Corriamo il pericolo di essere ipocriti quando stacchiamo la preghiera dalla vita; quando mettiamo la maschera dei buoni e poi, quando accadono le tragedie, sempre più frequenti, ci giriamo dall’altra parte, come se la cosa non ci interessasse, semmai recitiamo qualche preghiera per acquietare la nostra coscienza». Così il card. Montenegro ha concluso affermando che “non sono solo il coltello o la pistola a uccidere, ma anche l’ipocrisia, il buonismo, il silenzio e l’indifferenza». «È vero che non possiamo risolvere noi problemi complessi come quelli dell’immigrazione e della povertà ma come cristiani abbiamo il dovere della compassione, uno dei nomi più belli della carità».

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