«Il nodo della corda trovato sulla trave e utilizzato per impiccare Vera Schiopu, a “bocca di lupo”, è un nodo che non si blocca facilmente. Inoltre la collocazione dell’estremità opposta, che era libera, era adagiata sul poggia schiena di una sedia vicina al cadavere che, invece, per gravità doveva essere in corrispondenza del nodo. Situazione incompatibile con la dinamica del rinvenimento di un caso di suicidio». Sono queste, tra le altre, le dichiarazioni rese da Giovanni Marcì, il responsabile della squadra rilievi della Sezione Investigazioni Scientifiche dei carabinieri di Catania, che ieri mattina è stato esaminato nel processo sull’omicidio della venticinquenne moldava, avvenuto il 19 agosto del 2023, che si sta celebrando davanti alla Corte d’Assise di Catania.
Il militare e biologo molecolare forense ha svolto i rilievi nei due casolari in contrada Polmone a Ramacca. Il cadavere della giovane è stato rinvenuto in un rudere: a lanciare l’allarme è stato Costel Balan di 35 anni, che è finito alla sbarra assieme a Gheorghe Ciprian Apetrei, quest’ultimo convivente della vittima.
Per la Procura di Caltagirone i due romeni, difesi dagli avvocati Alessandro e Michela Lapertosa, avrebbero simulato il suicidio della donna per nascondere il delitto. Un piano diabolico – se fosse confermato dal dibattimento – che ricorda per diverse fattori in comune il caso di Valentina Salamone (su cui ha lavorato anche Marcì assieme ai colleghi Romano e Spitaleri), che però in un primo momento fu archiviato come “suicidio”. Poi la procura generale avocò l’inchiesta che portò a una condanna all’ergastolo. C’è un filone ancora aperto per individuare il presunto complice denominato dal Ris di Messina “maschio 1”.
I rilievi
Sono stati i rilievi della Sis etnea a convincere gli investigatori che quello di Vera non fosse un suicidio. Marcì ha risposto alle domande del pm Alessandro Di Fede mostrando delle slide e alcuni video che proiettati sugli schermi della Corte D’Assise hanno fatto rivivere le particolari attività tecniche effettuate e tutte le anomalie riscontrate sulle scene del crimine.
Impressionante è stata la visione del video che mostra Vera distesa sul letto della casa che condivideva con il fidanzato. La donna aveva attorno al collo il cavo di un telefonino: questo accadeva sicuramente prima di essere trovata impiccata.
Marcì ha spiegato nel dettaglio i profili del Dna rilevati sulla maglietta di Vera, dove «sono state trovate tracce ematiche nella parte anteriore e posteriore». Ma il sangue trovato dalla Sis è anche quello rinvenuto nel casolare dove i due fidanzati vivevano: sul letto, sull’armadio e anche all’esterno. Da quelle macchie rosse sul materasso è stato estrapolato il profilo genetico di Vera.
Il teste ha raccontato come la caserma dei carabinieri di Ramacca in quei giorni d’agosto è stata trasformata in un laboratorio di biologia forense. «Abbiamo analizzato con in luminol gli indumenti di Apetrei e di Balan rilevando tracce ematiche riconducibili a Vera Schiopu solo sugli indumenti di Apetrei», ha aggiunto Marcì in udienza. La donna, che dagli esami tossicologici è risultata positiva ad alcol e droga, aveva la lingua mozzata. E inoltre sulla nuca aveva delle lesioni compatibili con la traccia rilevata sull’armadio dell’abitazione di Vera e Apetrei.
Il secondo teste
Il secondo teste esaminato ieri è stato Roberto Spoto, anche lui componente della Sis, che ha accennato ai test di peso effettuati sulla trave dove è stata attaccata la corda servita per impiccare la giovane moldava. Inoltre Spoto ha parlato dei tempi di percorrenza che c’erano tra i due immobili, la casa dove abitavano i due fidanzati e il casolare dove è stata rinvenuto il corpo della vittima, che erano ubicati a una distanza di 90 metri l’una dall’altra.
Il processo è stato rinviato al prossimo 12 giugno. Sarà ascoltato un esperto del Ris.