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LA STORIA
Il mal di testa improvviso, la corsa in ospedale: così la piccola Diletta è stata salava miracolosamente dalla Mav
Il caso di una bambina di 10 anni di Vittoria affetta da Malformazione artero-venose trasportata d'urgenza al Cannizzaro di Catania
“Rinascere” a dieci anni, dopo un mal di testa improvviso, il panico, la corsa all’ospedale più vicino, a Vittoria, e due genitori disperati che temono il peggio per la figlia Diletta. E, ancora: la prima diagnosi dopo una Tac encefalo e una Angio Tac, il trasporto urgente nel centro specializzato di Neuroradiologia del Cannizzaro, altri esami e la diagnosi confermata. Malformazione artero venosa encefalica ovvero, in un termine sconosciuto ai più, Mav. Si tratta di una patologia tanto rara quanto pericolosa, che non si può prevenire e richiede una precisa strategia di approccio. Le statistiche dicono che un bambino su due colpito da Mav non sopravvive e in questi casi i fattori determinanti sono la tempestività dell’intervento e l’approccio multidisciplinare.
«La Mav – spiega il prof. Concetto Cristaudo, direttore della struttura complessa di Neuroradiologia del Cannizzaro – può essere approfondita solo con l’angiografia, in quanto è una patologia emodinamicamente dipendente: al contrario dell’aneurisma. che si può rompere per uno sbalzo pressorio, la Mav si può ingrandire e rompere perché cambia l’emodinamica». In pratica il comportamento del sangue nei vasi.
Il minimo errore diventa fatale
Mentre la Tac scatta una foto della struttura dei vasi, con l’angiografo si può studiare a che velocità il flusso percorre i vasi, come entra il sangue nel “nidus” (così si chiama il groviglio di vasi), quante vene di scarico ha, tutti dati che servono per il corretto approccio alla Mav. Il minimo errore diventa fatale. La Neurologia del Cannizzaro, in particolare, è dotata del più moderno angiografo biplanare, in grado di eseguire angiografie in metà tempo rispetto alle tradizionali apparecchiature, dimezzando di conseguenza la durata dell’anestesia, oltre ad essere l’unica macchina in grado di ridurre dell’80% la quantità delle radiazioni emesse.
«Nel caso specifico di Diletta – aggiunge Cristaudo – i vasi di apporto, detti “feeders”, erano quattro. La bambina era ad altissimo rischio di vita, d’altronde a seguito dell’emorragia aveva perso i sensi e quindi sarebbe potuta morire anche per ab ingestis».
Non c’era quindi tempo da perdere per l’intervento, eseguito nella sala angiografica di Neuroradiologia ad opera dell’equipe diretta dallo stesso prof. Cristaudo supportata dal gruppo di anestesia e rianimazione diretta dal prof. Savino Borraccino. La piccola è stata svegliata e ricoverata nel reparto di Neurochirurgia, diretto dal prof. Salvatore Cicero, da dove è stata dimessa ieri. Proseguirà le cure per la risoluzione completa del residuo della Mav con il trattamento chirurgico di Gamma Knife, sempre presso la Neurochirurgia.
L’angoscia e poi il sollievo
Sono le parole del padre di Diletta, Davide, a raccontare meglio di chiunque altro l’angoscia, e la “rinascita”, già iniziata. «È stato il momento più brutto della nostra vita, ora s’inizia il periodo più bello della nostra esistenza. Ho visto la mia bambina lamentarsi per un improvviso mal di testa, venire verso di me barcollando per avvisarmi del malore e mia moglie che si è subito accorta di segnali allarmanti, tanto da correre subito in ospedale, a Vittoria, a circa 20 minuti da dove ci trovavamo. Nel tragitto Diletta aveva perso i sensi. A Vittoria ci parlano di emorragia cerebrale con il trasporto d’urgenza al Cannizzaro, è in quel momento che il mondo ci è caduto addosso: eravamo impotenti, ma anche ignoranti circa le conseguenze di quanto stava succedendo. Siamo arrivati al Cannizzaro alle due di notte, ulteriori tac con contrasto hanno confermato la diagnosi di Mav, di cui non avevamo mai sentito parlare, scoperta dall’emorragia cerebrale in corso. È stata la notte più lunga della nostra vita, al mattino l’equipe di Neuroradiologia ci ha informato sulle procedure da loro consigliate per intervenire al meglio, in seguito sono stati i primari Cristaudo e Salvatore Cicero a illustrarci il piano d’azione con tutte le complessità del caso, con risposte alle nostre mille domande per niente rassicuranti. Si è trattato di momenti così veloci, ma anche così lenti, nei quali si crede a tutto e a niente ed è facile perdere la lucidità. Solo il supporto dato sia a nostra figlia sia a noi genitori da parte di tutte le equipe dei diversi reparti che hanno ospitato Diletta ci ha mantenuto saldi: le due ore dell’operazione sono sembrate infinite ma alla fine nostra figlia era salva! Medici, anestesisti, tecnici, infermieri sono stati le mani di Dio che hanno salvato la vita di mia figlia, abbiamo vissuto un vero miracolo e resteranno tutti nella storia della nostra vita. Siamo fieri, orgogliosi e grati per avere avuto l’onore di conoscere questi angeli».