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Ingoiati, nei cibi e nei droni: così si cerca di fare entrare i cellulari in cella

Di Redazione |

Camuffati nel cibo, sistemati negli indumenti intimi, ingoiati, nascosti nel corpo, inseriti in un pallone per poi essere lanciati, trasportati da un drone, collocati nel fondo delle pentole. Nell’ultimo anno si sono registrati sempre più tentativi di introdurre microtelefonini all’interno delle strutture carcerarie: nei primi 9 mesi del 2020 sono stati 1761 gli apparecchi rinvenuti nelle carceri italiane, requisiti all’interno o bloccati prima del loro ingresso. Nello stesso periodo del 2019 erano stati 1206 mentre, nel 2018, se ne erano registrati 394. I numeri parlano di un fenomeno in crescita. A segnalarlo è GNews, quotidiano del ministero della Giustizia, segnalando comportamenti che – alla luce delle norme introdotte dal dl Sicurezza varato ieri dal Consiglio dei ministri – diventano ora un reato a tutti gli effetti. Tra gli episodi più recenti, quello del 3 settembre scorso, quando un pallone con all’interno 16 telefonini è stato trovato all’esterno del muro perimetrale del carcere di Avellino. Il 25 settembre a Roma-Rebibbia due micro-telefoni e un caricabatteria sono stati rinvenuti nascosti all’interno di tre pezzi di formaggio e nel carcere di Benevento erano invece occultati in due salami. A Secondigliano, durante il lockdown, un drone si è schiantato contro uno dei muri del carcere mentre cercava di recapitare due piccoli involucri contenenti smartphone e microcellulari. Ad Avellino una batteria di casseruole conteneva i cellulari nel fondo delle stoviglie. Nel carcere Pagliarelli di Palermo un detenuto ha ingoiato un microcellulare mentre nel febbraio del 2019 gli agenti hanno bloccato un detenuto al rientro da un permesso che aveva nascosto 4 telefonini nello stomaco. Alcuni telefonini sono stati trovati, a Carinola, addosso ad un sacerdote che doveva celebrare la messa domenicale nell’istituto ed era pronto a portarli ai detenuti. 

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