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La cattura di Riina e il mistero della perquisizione effettuata dopo 18 giorni

Di Redazione |

Il 15 gennaio 1993, dopo oltre 23 anni di latitanza, Totò Riina, capo di Cosa nostra venne catturato a Palermo dai carabinieri del Ros. Era in auto insieme all’uomo che gli fa da autista, Salvatore Biondino. I militari, guidati dall’allora capitano Sergio de Caprio, nome di battaglia Ultimo, lo fermano alle 8 di mattina a poche centinaia di metri dalla villa in cui con moglie e figli ha trascorso gli ultimi dieci anni.

Il rifugio dove si nascondeva il boss, una lussuosa villa con piscina in via Bernini 54, immersa in un parco che ospita un complesso residenziale, verrà perquisito soltanto il 2 febbraio del 1993, 18 giorni dopo l’arresto. Nel frattempo gli uomini d’onore riescono ad entrare nella casa, fare sparire quello che c’è dentro ed addirittura imbiancare le pareti.

E’ uno dei tanti misteri legati alla latitanza e alla cattura del capo di Cosa Nostra sfociato in un processo concluso con la piena assoluzione degli imputati: il capitano Sergio De Caprio e il generale Mario Mori, nel ’93 vicecomandante del Ros, accusati di avere favorito Cosa nostra.

Il 15 gennaio, dopo la cattura del padrino di Corleone, i magistrati della procura di Palermo tra cui l’allora aggiunto Vittorio Aliquò, capo dei pm in attesa dell’insediamento di Giancarlo Caselli, il sostituto di turno Luigi Patronaggio ed i vertici dell’Arma si incontrano nella caserma del comando regionale.

Tutto è pronto per la perquisizione del covo, individuato grazie alle indicazioni del pentito Balduccio Di Maggio che, dalle riprese effettuate dal furgone in cui i Ros tenevano d’occhio il residence, il 14 gennaio riconosce la moglie del capomafia, Ninetta Bagarella. Ma all’idea di fare irruzione nella villa si oppone Ultimo: teme che il blitz mandi a monte ulteriori sviluppi investigativi possibili, visto che i boss non sanno che il rifugio di Riina è stato individuato.

Si arriva ad un accordo. I carabinieri, Ultimo e Mori in testa, ottengono un rinvio della perquisizione. «Subordinato alla prosecuzione dell’osservazione», dirà successivamente Aliquò. Ma Ultimo smentisce di avere assicurato che il servizio si sarebbe protratto, sostenendo di avere parlato ai magistrati di generiche esigenze investigative legate alle indagini sui proprietari del complesso di via Bernini, gli imprenditori Sansone, vicini a Riina.

Il 17 gennaio, due giorni dopo l’arresto del marito, Ninetta Bagarella ed i suoi quattro figli rientrano a Corleone dopo anni di assenza. La notizia viene comunicata al procuratore Aliquò. Il 27 gennaio i filmati, ripresi durante il servizio di osservazione di via Bernini, vengono depositati in Procura. Viene fuori che il Ros ha interrotto le riprese alle 16 del 15 gennaio, il giorno stesso della cattura.

Solo il 30 gennaio, però, i carabinieri avvertono ufficialmente i magistrati che l’attività di controllo del nascondiglio era cessata qualche ora dopo l’arresto. Solo il 2 febbraio scatta la perquisizione. Ma ormai è troppo tardi: il rifugio del boss è stato completamente ripulito, con mobili ammassati in una stanza le pareti imbiancate e perfino le tappezzerie ed i rivestimenti staccati.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA