La figlia di Borsellino: pm dell’epoca ora rendano conto del loro operato

Di Francesco Terracina / 18 Luglio 2018

PALERMO – Mutua dalle recenti motivazioni della sentenza Borsellino quater la definizione dell’indagine sulla strage di via D’Amelio, «il più clamoroso depistaggio che la storia della Repubblica ricordi», e per questo Claudio Fava, che dallo scorso novembre siede all’Assemblea siciliana ed è presidente della Commissione regionale antimafia, chiederà agli attuali vertici dell’intelligence «che cosa è accaduto tra il ’92 e il ’94». Fava parla in conferenza stampa dieci minuti dopo che si è conclusa l’audizione di Fiammetta Borsellino, la battagliera figlia del magistrato ucciso a Palermo il 19 luglio ’92 insieme a cinque uomini della sua scorta.

Alla vigilia dell’anniversario della strage, l’Antimafia regionale decide («per scelta e non per atto dovuto», sottolinea Fava) di sentire Fiammetta Borsellino che stamane, in un intervento su Repubblica, ha messo insieme i 13 punti tutt’ora oscuri sull’assassinio del padre e sull’indagine che ne seguì, con tre processi passati in giudicato che portarono alla condanna di innocenti, prima che il pentito Gaspare Spatuzza parlasse e demolisse il castello di menzogne «costruito a cominciare dal ’92 – dice la figlia del magistrato – quando non avevamo alcun sospetto su quello che stava accadendo e, ignari di tutto, parlavamo con gli inquirenti di allora (il procuratore di Caltanissetta Gianni Tinebra, i pm Carmelo Petralia e Nino Di Matteo). Poi abbiamo capito, e ora sono le carte a parlare. Io non espongo opinioni, cito dati e avvenimenti».

«Le motivazioni del Borsellino quater – spiega Fiammetta al termine dell’audizione – hanno avvalorato quanto sapevamo sui depistaggi. Io racconto fatti, mi riferisco a dati contenuti nelle carte processuali. Se la procura di Caltanissetta e i magistrati del tempo hanno fatto male, è giusto che rendano conto del loro operato. Vertici istituzionali e investigatori che hanno ordito il depistaggio sulla strage di via D’Amelio, hanno fatto male non solo a noi ma all’intero Paese; è stata offesa anche l’onorabilità della magistratura».

E incontestabile è la «violazione delle regole – spiega Fava – che hanno portato ad affidare le indagini ad Arnaldo La Barbera, contemporaneamente capo della Squadra mobile di Palermo e stipendiato dal Sisde. Di tutto questo c’è inevitabilmente traccia da qualche parte e chiederemo agli attuali vertici dell’Aisi di fare chiarezza: chi ha chiesto e chi ha autorizzato questa assoluta anomalia?».

«Ventisei anni dopo la strage e l’inizio di un depistaggio unico nella nostra storia, è chiaro che le tracce sono rimaste ed è da queste che occorre partire per conoscere la verità. Non vogliamo sostituirci alla magistratura ma da settembre cominceremo con le audizioni e la nostra sarà un’indagine politica», conclude Fava, che nella scorsa legislatura è stato vicepresidente della Commissione antimafia nazionale guidata da Rosi Bindi.

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