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IL RETROSCENA

La “scampanellata” alla suocera che mette paura al boss e la caccia all’uomo che passa da Catania

Nella carte dell'inchiesta Lua Mater anche un episodio che ha rischiato di creare attriti nella "famiglia" mafiosa

Di Laura Distefano |

Nel pomeriggio del 31 gennaio scorso qualcuno, dalle immagini si capirà che è un gruppo di cinque, suona al citofono dei suoceri di Antonio Arcodia Pignarello. Ma poi si allontanano senza rispondere. La gip Luparello definisce l’episodio il caso della “scampanellata”. Quando la convivente del boss di Regalbuto lo contatta per raccontargli il fattaccio si innescano una serie di eventi che portano a contattare un nome di peso di Cosa nostra catanese.

Lorenzo Pavone è tornato in libertà dopo aver scontato le condanne per i processi Fiori Bianchi e Orfeo, come capo della cellula di Picanello della famiglia Santapaola-Ercolano. Arcodia si attiva per poterlo rintracciare anche attraverso i social chiedendogli una mano per sapere chi fosse quella gente catanese che avrebbe “disturbato” la suocera. Gli interrogativi che frullano in testa al boss ennese, protagonista del blitz dello scorso giovedì della Dda nissena, è che qualcuno voglia intimidirlo.

Arcodia Pignarello preme anche Cristian Paternò – vertice operativo dei Santapaola-Ercolano di Catania – per attivarsi sulla vicenda. Anche se in realtà il primo ponte con Catania l’indagato lo ha con Giuseppe Laudani di Paternò, paese alle falde dell’Etna sotto il controllo di Salvatore Assinnata, che però è arrestato proprio il mese prima nel blitz Leonidi dei carabinieri.

Quella che si apre è una vera e propria indagine: da una targa di Fiat Grande Punto e delle foto prese dai sistemi di videosorveglianza parte una caccia all’uomo. Anzi agli uomini. Il paternese assicura ad Arcodia di avere ricevuto precise disposizioni dai vertici: «Sono a disposizione». L’asse Paternò-Laudani però non porta risultati. E, quindi, Arcodia decide di investire nella ricerca altri mafiosi catanesi.

Il 2 febbraio scorso fa una video chiamata a Santo Tricomi – uomo dei cursoti milanesi di Catania – al quale racconta particolari dell’auto usata da chi ha osato “scampanellare” e spiega anche di aver interessato nella vicenda “compare” Paternò. Tricomi suggerisce ad Arcodia, una volta rintracciati i protagonisti, di dargli una lezione: «Ci spacchi la testa».

Spazientito il signorotto di Regalbuto cerca di correre ai ripari cercando l’aiuto di Pavone, che quando sa che del caso se ne sta occupando anche Paternò fa un passo indietro. Ma dopo le rassicurazioni di Arcodia promette di muoversi. Blindato dalla sorveglianza speciale l’ennese invia a Catania il figlio. Il cerchio pare chiudersi. Arcodia si convince di quanto il boss di Picanello gli spiega: la “scampanellata” è un fatto assolutamente casuale e non c’è alcun intento a minacciare o intimidire il boss o i suoi familiari.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA