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La verità sulla Sicilia “pattumiera” atomica: ecco come si può invertire la decisione

Di Mario Barresi |

CATANIA – Davvero in pochi, nella marea trasversale e indistinta degli indignados, è davvero a conoscenza che questa storia della Sicilia “pattumiera” di scorie nucleari non è sbucata fuori dal nulla. Risale al giugno 2014, infatti, la pubblicazione dei «criteri di localizzazione» della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi). E se adesso politici e rappresentanti istituzionali sostengono di aver scoperto, come dei novelli Ciàula, la luna (ovvero l’elenco dei 67 siti selezionati in sette regioni, fra i quali quattro in Sicilia), significa che qualcosa non funziona.

Nell’Isola, ad esempio, i quattro “immondezzai atomici” sono stati individuati a Trapani, a Calatafimi-Segesta, nelle Madonie (fra Castellana Sicula e Petralia Sottana) e a Butera. Proprio da questi territori si levano le prime voci di protesta. Not in my backyard, il principio che muove la contestazione dei sindaci interessati, come quello di Castellana, Franco Calderaro: «Ci opporremo con tutte le forze», annuncia.

L’altro filo rosso è quello della disinformazione istituzionale. «Non sapevo nulla di questa cosa – sbotta il sindaco di Petralia – perché nessuno ci ha mai informati. Se qualcuno è venuto a fare ispezioni non ce l’hanno detto. Neanche una mail». Leonardo Neglia sostiene di non sapere neanche la zona individuata. «Il sito del Cnapi – aggiunge – è bloccato. Non posso neanche controllare per sapere se c’è la contrada specifica individuata». La stessa tesi sostenuta a Trapani da Giacomo Tranchida: «Sconosciamo l’argomento e la cosa ci preoccupa non poco perché in periodo di pandemia il governo richiama alla responsabilità sanitaria dei sindaci, tranne quando si ha l’esigenza, nemmeno informando la locale autorità sanitaria, di trovare silente una discarica? Non ci stiamo». Entra ancor più nel dettaglio il primo cittadino di Butera, Filippo Balbo, dicendosi «contrariato per il fatto che le istituzioni, e in questo caso il ministero dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente, abbiano tenuto massimo riserbo su questa cosa».

L’indignazione va ben oltre i confini del retro dei giardini siciliani. E anche Matteo Salvini cavalca l’onda della protesta con un comunicato-ciclostile: «Il governo è incapace e fa male alla…», cambiando il nome di ognuna delle sette regioni interessate, compresa quindi l’Isola.

A livello locale si fa prima a dire chi non interviene (ovvero: gli esponenti siciliani dell’alleanza giallorossa di governo), sfogliando l’infinita lista di prese di posizioni. A partire dal governo regionale, che con Toto Cordaro esprime una linea istituzionale: l’Isola «non può accettare l’idea di scelte calate dall’alto. Riteniamo fondamentale, sul tema ambientale ancora più che su altri, un pieno confronto tra governo nazionale, governo regionale e le comunità locali interessate», scandisce l’assessore al Territorio e ambiente. Meno accomodante il collega Mimmo Turano (Attività produttive), sensibilizzato anche dall’alta concentrazione di siti nel Trapanese: «Ho pensato ad uno scherzo di cattivo gusto. Purtroppo è solo l’ennesima barzelletta di un governo che ha poche e confuse idee sul futuro della nostra isola». E poi, soltanto per citarne qualcuna, le indignazioni di Udc, DiventeràBellissima, Lega, FdI e Attiva Sicilia all’Ars. «Mi aspetto di sentire lo sconcerto delle associazioni ambientaliste, di cui fin ora non ho notizie», provoca il presidente Gianfranco Miccichè annunciando un approfondimento a Sala d’Ercole. Seguono le rimostranze dell’eurodeputato Ignazio Corrao («Prima di parlare di depositi di scorie nucleari al Sud lo Stato italiano pensi a garantire le bonifiche per i siti inquinati che aspettiamo da oltre vent’anni»), di Leu, Cento Passi, +Europa, Anci Sicilia, Coldiretti, Cgil, Cisl, Comitato Zfm.

Sono tutti pronti a stare sulle barricate. Ma nessuno spiega come. Ed è proprio quest’ultimo il punto. Non è un documento definitivo, la Carta dei siti idonei per il deposito nazionale delle scorie nucleari. E il governo, a maggior ragione dopo la rivolta dei territori interessati, dovrà considerare con attenzione le scelte. Ma la Cnapi non è nemmeno una sorpresa. Si aspettava da sei anni, ma l’iter è stato lento e tortuoso.

Adesso che le carte sono in tavola, bisogna agire. È già partita l’immancabile petizione online, il sindaco di Butera annuncia un referendum consultivo. Tutto legittimo, nella rabbia caotica. Ma prima si deve studiare. E il percorso che porterà alle scelte finali è ben definito. Quindi uno degli interventi più documentati è quello dell’assessore ai Rifiuti, Alberto Pierobon, che, assicurando «assicurare che il governo Musumeci affronterà con attenzione e responsabilità la questione», entra nel merito della questione: «La procedura che si apre adesso è tecnica e si basa su criteri che sono stati decisi diversi anni fa, quando sono state classificate delle aree in base a delle caratteristiche ritenute necessarie per ospitare i rifiuti degli impianti smantellati. Tra tutte le zone individuate, quelle siciliane sono ritenute meno idonee, cioè meno adatte, ma questo non basta».

Ma quali sono le fasi “tecniche” a cui fa riferimento Pierobon? Pubblicato l’elenco dei siti, per almeno due mesi si potrà consultare la documentazione. Entro quattro mesi, pandemia permettendo, sarà organizzato un seminario nazionale (con enti locali, associazioni di categoria, sindacati, università ed enti di ricerca), nel corso del quale saranno esaminati tutti gli aspetti legati al deposito, dalla sicurezza all’economia. Ed è qui che c’è un primo spiraglio per le rivendicazioni dei territori. In base ai risultati del Seminario Nazionale, Sogin (Società gestione impianti nucleari, interamente partecipata dal Mef) aggiornerà la Cnapi. La Carta verrà nuovamente sottoposta ai pareri dei ministeri dello Sviluppo Economico, dell’Ambiente e delle Infrastrutture, e dell’ente di controllo Isin.

Dopo tutte queste valutazioni, il ministero dello Sviluppo economico preparerà la versione definitiva del documento, cioè la Cnai, la Carta Nazionale delle Aree Idonee. A quel punto, spetterà al governo scegliere il sito definitivo. La Sogin prevede che per la realizzazione del Deposito saranno necessari 4 anni di cantieri.

Cosa si può fare nel frattempo? Un’idea intelligente la lancia il deputato regionale Nuccio Di Paola (non a caso l’unico grillino a non chiudersi nel silenzio tombale sulla vicenda), ricordando un ddl di cui è primo firmatario all’Ars, che impegnava il governo regionale «a dichiarare denuclearizzato l’intero territorio della Regione Siciliana, ad imporvi l’assoluto divieto allo stoccaggio e al transito di scorie nucleari e a dichiarare la totale contrarietà all’individuazione della Sicilia come sede di deposito nazionale per i rifiuti radioattivi». Ecco, questo potrebbe essere un buon punto di partenza per mettere la Sicilia al riparo da qualsiasi sgradevole sorpresa. A patto che la politica capisca che, dopo i comunicati stampa fast-food, è tempo di mettersi a studiare. E a fare.

Twitter: @MarioBarresi

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