20 dicembre 2025 - Aggiornato alle 19 dicembre 2025 23:51
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Lanciò la figlioletta dal terzo piano, «Era incapace, ma può partecipare al processo»

Anna Maria Geraci è accusata di omicidio. Da diverse settimane è reclusa nel carcere di Barcellona Pozzo di Gotto.

Laura Distefano

21 Luglio 2025, 15:30

FOTO MISTERBIANCO

In quella terrazza da dove «ha buttato» Maria Rosa, Anna Maria Geraci ci trascorreva quasi tutte le mattine. Passeggiava, avanti e indietro. Fino a quel tragico 30 aprile, quando è scesa al secondo piano, ha preso in braccio la figlia di soli sette mesi e appena è arrivata all’inferriata l’ha lanciata come fosse un sacco. «Mamma cosa stai facendo?», ha gridato il fratellino. La piccola è finita sull’asfalto in via Marchese, a Misterbianco. Mancavano pochi minuti alle 2 del pomeriggio. Il padre ha sentito un tonfo e poi le urla scioccanti del figlio. Prima è salito su in terrazza e ha visto la compagna con la faccia da colpevole. Si è affacciato ed è calato il gelo. La nonna che stava preparando il pranzo ha capito solo dopo cos’era successo. Anna Maria le ha chiesto: «È morta?».

Il film dell'orrore



Una sequenza di un film dell’orrore che a distanza di tre mesi è più cristallizzata. E forse ancora più agghiacciante. Per riavvolgere il nastro della tragedia i pm hanno sentito uno dopo l’altro i testimoni. Anna Maria Geraci è accusata di omicidio. Da diverse settimane è reclusa nel carcere di Barcellona Pozzo di Gotto.

La perizia


A giugno il professore Eugenio Aguglia, nominato dal procuratore aggiunto Sebastiano Ardita e dal sostituto Francesco Rio, ha depositato la perizia psichiatrica sulla mamma di Maria Rosa. La donna ha 40 anni. Per il perito l’indagata quando ha commesso l’infanticidio era incapace di intendere e di volere, ma comunque è nelle condizioni di affrontare un processo. Lo psichiatra scrive nelle conclusioni della sua relazione che Geraci «al momento dei fatti presentava una "psicosi post partum", tale patologia determinava una totale compromissione della capacità di intendere e di volere e la rendeva persona socialmente pericolosa». Il perito quindi ritiene che la donna debba cominciare un percorso «terapeutico riabilitativo personalizzato» che però non è attuabile «in ambiente carcerario». Un cammino di cure psicoriabilitative che le permettano di «affrontare in maniera consapevole le conseguenze del suo gesto, di gestirne il carico emotivo conseguente, evitando possibili reazioni di autolesionismo». Per il professore Aguglia comunque l’indagata è da «considerare capace di partecipare coscientemente al processo».
Che la donna fosse incapace di intendere e di volere quando ha commesso l’infanticidio è d’accordo anche il consulente nominato dal difensore dell’indagata, l’avvocato Alfio Grasso. Lo psichiatra Antonio Petralia valuta inoltre le condizioni psichiatriche dell’indagata incompatibili con la detenzione in un istituto penitenziario e sollecita il trasferimento in una struttura idonea per cominciare la terapia riabilitativa.

L'indagine


La procura intanto sta acquisendo ancora elementi per completare il puzzle dell’intera vicenda. E solo dopo deciderà sulla richiesta di rinvio a giudizio. Le indagini non sono ancora chiuse anche perché, come aveva sollecitato la stessa gip Simona Ragazzi nell’ordinanza di convalida del fermo, c’era da capire se ci fossero state «omissioni» nel circuito dell’assistenza dei servizi sociali e del dipartimento di salute mentale dell’Asp nella gestione del caso. Il fratellino di Maria Rosa, come pubblicato su La Repubblica, si trova su disposizione del Tribunale per i Minorenni in una casa famiglia.
Anna Maria Geraci non ha mai accettato la nascita di Maria Rosa. Non l’ha mai considerata sua figlia: lo sapevano tutti. E infatti era stata sottoposta a diverse cure (anche farmacologiche) ed era seguita dal Dsm. Inoltre il giudice aveva nominato il padre di Geraci come amministratore di sostegno. Nella casa su tre livelli di via Marchese sin dalla nascita di Maria Rosa si era trasferita la suocera, che si occupava della bimba assieme alla figlia. Cioè la cognata dell’indagata.
Nessuno però si aspettava quel gesto. Non c’erano state avvisaglie di atteggiamenti violenti o aggressivi nei confronti della bambina. Solo distacco, innaturale distacco nei confronti della piccola che Anna Maria aveva dato alla luce e aveva portato in grembo per nove mesi. La donna durante l’interrogatorio ha chiarito che provava avversione verso la neonata. Ha descritto l’istante in cui ha gettato la piccola dal balcone come un «momento di follia».
Pare che fosse programmato un ricovero in un centro specializzato. Dalle testimonianze dei familiari emerge che la donna sarebbe dovuta andare in una clinica per cominciare una terapia per superare la psicosi post partum.
Mancavano pochi giorni. Troppi.